“Il mio 23 maggio: ero in parrocchia con mio marito. E poi…”
“Era un tranquillo pomeriggio come tanti. All’improvviso, arrivò la notizia da Palermo…”
Dov’ero quel giorno? Cosa stavo facendo? Non posso proprio dimenticarlo, ce l’ho scolpito nella mente proprio come fosse ieri!
Era un sabato pomeriggio, io e mio marito ci trovavamo nella nostra Parrocchia. Eravamo stati invitati al corso di preparazione dei fidanzati per avere un confronto con le giovani coppie che dovevano sposarsi.
Non avevamo ancora iniziato, c’era chi scambiava ancora qualche parola, quando il prete che doveva condurre l’incontro ricevette una telefonata. Non appena rispose al telefono lo vedemmo sbiancare in viso ed avere una espressione di rabbia e di dolore.
Immediatamente ci comunicò la terribile notizia che aveva ricevuto: era stata fatta una strage a Palermo in cui avevano perso la vita il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e tre uomini della sua scorta.
Ci fu un attimo di silenzio e di incredulità fra tutti i presenti. Poi scuotendoci un po’ cominciammo a commentare l’accaduto e discutemmo su come reagire a quel terribile atto di violenza. Cosa potevamo fare? Volevamo dimostrare il nostro sdegno verso le persone che avevano messo in atto quella terribile strage e nello stesso tempo dimostrare la nostra solidarietà ed il nostro dolore alle vittime.
Pensammo che l’unica cosa da fare in quel momento, subito, all’istante era quella di scendere in strada. Facemmo alcune telefonate e ci organizzammo per fare un presidio in Piazza Università.
Quando arrivammo sul luogo, qualcuno prese la parola e commentò i fatti. Altri stavano lì fermi, ammutoliti dal terribile evento, altri imprecavano contro i macellai che avevano compiuto la carneficina.
Subito dopo tanta gente si riversò in strada e si unì a noi per dimostrare la propria indignazione per quello che era avvenuto.
Non potevamo fare altro. Il resto dovevano farlo le istituzioni, le procure, la polizia, i carabinieri per cercare i colpevoli e fare verità e giustizia.
Non potevamo fare altro
Palermo, sono circa le ore 17,59 del 23 maggio 1992. Autostrada A29 che collega Palermo a Trapani in prossimità dello svincolo di Capaci.
Cinque uomini, fra cui Giovanni Brusca e Pietro Rampolla, hanno posizionato circa 500 Kg di tritolo in una galleria sotto l’autostrada. Il loro obiettivo sono proprio quelle tre auto che portano il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e la sua scorta. Provengono dall’aeroporto di Punta Raisi (oggi “Aeroporto Falcone-Borsellino) e vanno verso Palermo.
E’ questione di un attimo, Giovanni Brusca aziona il radiocomando e quei 500 Kg. di tritolo esplodono facendo saltare in aria le tre auto con i loro passeggeri. In un attimo cinque persone perdono la vita in modo straziante.
Due mesi più tardi il 19 luglio 1992, in un altro attentato sempre a Palermo in via D’Amelio, viene fatta esplodere una Fiat 126 con circa 100 Kg. di esplosivo a bordo. Muore il giudice Paolo Borsellino, amico e collega di Giovanni Falcone, con cinque uomini della sua scorta.
Queste furono le prime di una lunga serie di Stragi di Stato, così vennero definite, che colpirono l’Italia nel biennio 1992/1993, aggredendo uno stato democratico che faticosamente voleva attuare la sua costituzione.
Sono passati venti anni da quel 1992. Sono cambiate molte cose. La gente, che in quel giorno si è sentita coinvolta emotivamente dal terribile crimine, ha dimenticato. Inoltre ancora oggi non si conoscono i nomi dei veri colpevoli e mandanti delle stragi, non è stata ancora fatta verità e giustizia.
Forse tanti uomini che sono a conoscenza dei fatti hanno paura e non parlano. La paura spesso ci impedisce di affrontare le proprie responsabilità, ci impedisce di essere veri uomini.
Ma come diceva Paolo Borsellino “Chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore una volta sola”.