Votare dove “la mafia non esiste”
Catania. L’atmosfera elettorale a San Cristoforo
“Tira un’aria troppo pesante. La Digos è stata chiamata diverse volte. Alcuni galoppini ne segnalavano altri dei candidati concorrenti. La Digos arrivava, i capannelli si dileguavano per poi ricomparire. È stato così tutto il tempo”. Nello spiazzale davanti alla scuola Livio Tempesta, in via Gramigrani, nel cuore di San Cristoforo, non si fatica a scorgere gente che cerca di accaparrarsi voti. Alcuni fermano anche le automobili. Nel quartiere di Catania dove “la mafia non esiste”, la scuola Livio Tempesta è circondata da cumuli di spazzatura e pizzini elettorali.
Nel pomeriggio arrivano anche alcuni candidati. Il primo, Dario Bussolari, candidato al consiglio comunale con Forza Italia, sostenitore di Salvo Pogliese sindaco. Dietro la scuola c’è una stalla trasformata per l’occasione in un “comitato elettorale” proprio per lui. Bussolari, prima di varcare l’ingresso, con la tessera elettorale nella mano destra, fa un cenno di saluto al capannello di persone su un angolo dello spiazzale.
Un istante dopo arriva anche Riccardo Pellegrino – “orgoglioso” amico di Nuccio Mazzei, fratello di Gaetano del clan dei carcagnusi -, candidato a sindaco e indagato per voto di scambio alle scorse Regionali (insieme al padre, che stamattina “controllava la situazione“ davanti a un’altra scuola del quartiere).
Il giovane candidato, Pellegrino, scambia due parole con un gruppo di sostenitori – piazzati lì sin dalla mattina. Improvvisamente “Mi state fotografando? Bravi! Ma lo sapete che non lo potete fare! Voi qua che ci fate? Neanche voi potreste stare qua! Potreste pilotare il voto!”.
Non ci crede il signor Pellegrino che non abbiamo alcuna lista, alcun partito, nessun candidato – i Siciliani non ne hanno mai avuti. Pellegrino scorrazza via, dopo aver farfugliato qualcosa sulla libertà.
Bussolari intanto ha votato, all’uscita uno dei vigilanti di seggio gli fa notare i pizzini elettorali che lo ritraggono, davanti agli scalini della scuola “Non ha uno staff che si occupi di questi inconvenienti?” gli si chiede. “Il mio staff è la gente comune” risponde. E allunga il passo verso il capannello di persone comuni che l’aveva salutato poco prima. Si consulta, torna davanti alla scuola e anche lui “Non potreste stare qua, potreste pilotare il voto, non ci credo che non avete una lista!”.
Qualche traversa più giù c’è Saro, padre di famiglia, disoccupato, precedenti per spaccio. A turno chi può lo sfrutta nel quartiere, “dove la mafia non esiste”. Indossa i poveri vestiti di ogni giorno, sta andando a votare e si è sbarbato apposta. Parla da solo mentre si avvia alla Livio Tempesta, come se le strade di San Cristoforo lo inghiottissero.