giovedì, Novembre 21, 2024
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Viva il Colapesce

Unicredit sgombera il doposcuola

Farabutti! Sti ragazzi fanno servizi sociali nel quartiere”. Grida così un vecchio signore con la busta della spesa appena uscito dalla pescheria, passando davanti al cordone di polizia che protegge il portone saldato del Centro Popolare Colapesce. La chiusura dello spazio sociale è avvenuta all’alba, senza che nessuno se ne accorgesse, a un anno e mezzo dall’occupazione.

L’immobile era stato abbandonato per anni, saccheggiato e degradato. Era stato l’Hard Rock Café di Catania, l’unico al mondo fallito dopo pochi mesi dall’apertura. Prima di Caflisch SRL, poi passò nelle mani di Locat Spa di Bologna e infine è stato acquisito da Unicredit Leasing SPA, la società immobiliare del colosso bancario.

Proprio gli amministratori di Unicredit denunciarono immediatamente l’occupazione quando nel febbraio 2018 le ragazze e i ragazzi della Piazzetta, nati nei collettivi studenteschi, decisero di occupare sull’onda della mobilitazione dell’Ex Opg Je so Pazzo di Napoli e di Potere al Popolo.

L’obiettivo di questo anno e mezzo di occupazione è stato portare il mutualismo nel quartiere popolare di San Cristoforo dove i servizi sociali mancano e solo l’autorganizzazione dal basso riesce a dare risposte agli abitanti: sull’esempio del Gapa, di Gammazita, del centro polifunzionale Midulla, dell’orchestra Città Invisibile e di alcune coraggiose esperienze scolastiche.

Al Colapesce si faceva il doposcuola per i bambini del quartiere, corsi di musica e di teatro, laboratori creativi e incontri con gli abitanti. E si faceva politica, quella bella, quella vera. Lo sportello legale per i lavoratori, le assemblee per un diverso sistema di accoglienza, le riunioni coi lavoratori che avevano perso il posto o i precari super sfruttati. Le assemblee per preparare il Pride con tutte le associazioni LGBTQI.

Ora non più. Un manipolo di fabbri, accompagnati da un’agenzia di sicurezza privata, scortati da una trentina di poliziotti questa mattina hanno chiuso le porte. Un nuovo portone in ferro è stato saldato all’entrata e sono state sigillate tutte le finestre. Unicredit ha ottenuto dall’autorità giudiziaria lo sgombero dei locali. Fuori i bambini, dentro il nulla.

La banca non farà doposcuola, non aiuterà i lavoratori, non organizzerà concerti. Il quartiere sarà ancora più solo, ancora più vuoto. Ma dicono che sia legale. Noi diciamo che è ingiusto. Profondamente sbagliato.

La Unicredit Leasing Spa solo nella provincia di Catania possiede duecentoquaranta immobili, in buona parte vuoti, tra stabilimenti industriali abbandonati, negozi chiusi, case sfitte. Decine di migliaia di metri quadri di strutture. Un impero immobiliare in disuso, utile solo ad aumentare il patrimonio, a fare soldi coi soldi. Ma quegli 878 metri quadri che erano stati restituiti alla città dovevano essere sigillati per tornare al legittimo proprietario: la banca.

La stessa banca a cui i cittadini catanesi pagano milioni di euro di interessi sulle anticipazioni di cassa del Comune, la stessa banca che si avvia a costruire il più grande parcheggio multipiano della città e che si appresta a gettare centinaia di migliaia di metri cubi di cemento in Corso dei Martiri, l’unica area non cementificata del centro. Lì appartamenti, centri commerciali, negozi, ma nessun doposcuola, nessun servizio. Solo cemento, solo soldi per i soliti noti.

Là dove non arriva la ruspa di Salvini, arriva la banca (anche se i leghisti locali hanno tentato di rivendicarsi lo sgombero nonostante non ci entrassero nulla). Ma dal Colapesce delle coraggiose ragazze ci dicono che non si arrendono. Sabato ci sarà un corteo per denunciare quello che è accaduto. Per restituire speranza alla città: contro Salvini, contro le banche. Noi saremo con loro, solidali e complici.

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