“Vicini a Messina Denaro”. Sigilli all’impero degli imprenditori Niceta
“Carissimo amico mio ricevo la sua lettera e le rispondo immediatamente. La ringrazio di avere trovato il tempo di occuparsi della vicenda del mio amico massimo n. con lui non ho potuto parlare in quanto è fuori per le ferie sono comunque certo che non avrà difficoltà a farle i due favori che lei gli chiede sarà mia cura informarlo appena possibile”. E’ un pizzino di Matteo Messina Denaro a Salvatore Lo Piccolo, di qualche anno fa. Massimo N. sarebbe Massimo Niceta, appartenente ad una delle più note famiglie palermitane, per la quale è scattato un sequestro di beni per un valore complessivo di circa 51 milioni di euro.
Il provvedimento si inquadra in una più ampia manovra investigativa finalizzata alla cattura del boss latitante Matteo Messina Denaro e riguarda un ingente patrimonio comprendente diverse società attive nel settore immobiliare,nel commercio di abbigliamento, preziosi e nautica. Sotto sequestro sono finite pure due ville, a Mondello e Cefalù, conti correnti e depositi bancari. Il sequestro riguarda il patrimonio di Mario Niceta e dei figli Massimo, Pietro e Olimpia. Comprende le società che gestiscono una serie di negozi a Palermo (in via Roma, Corso Camillo Finocchiaro Aprile, viale Strasburgo e via Ruggero Settimo con il marchio Olimpia) e a Trapani.
Si tratta di un doppio sequestro. Sono stati eseguiti, infatti, due distinti provvedimenti disposti dalle sezioni Misure di prevenzione dei Tribunali di Palermo e Trapani, chiesti e ottenuti dal procuratore aggiunto Vittorio Teresi e dal sostituto Piero Padova della Direzione distrettuale antimafia di Palermo, e dal questore trapanese Carmine Esposito. Ad eseguirli sono stati, a Trapani, gli agenti della divisione Anticrimine e, a Palermo, i finanzieri e i carabinieri del Ros.
Di Mario Niceta, il padre, si iniziò a parlare negli anni Novanta, quando si occupava ancora di calcestruzzo. Diversi collaboratori di giustizia lo definirono vicino al clan mafioso di Brancaccio. Nel 2009 toccò ai figli essere tirati in ballo, con il pizzino che abbiamo appena citato in apertura. Nel pizzino si parlava della gestione nel centro commerciale “Belicittà” di Castelvetrano di due negozi la cui proprietà di fatto apparterrebbe al boss Filippo Guttadauro, cognato del padrino trapanese. I fratelli Niceta si sarebbero messi a disposizione affinché Guttadauro, attraverso i figli Francesco e Maria, aprisse un negozio di abbigliamento e uno di bigiotteria sotto le insegne “Niceta Oggi” e “Blue Spirit” presso il centro commerciale di proprietà di Giuseppe Grigoli, storico prestanome di Messina Denaro.
Quando era già stato arrestato, Filippo Guttadauro, per evitare che i negozi finissero sotto sequestro, si sarebbe fatto aiutare dai fratelli Niceta, in ottimi rapporti, secondo gli investigatori, come confermerebbero intercettazioni e pedinamenti, con i figli di Guttadauro.
Dei Niceta aveva parlato anche un altro Guttadauro, Giuseppe, capomafia di Brancaccio e fratello di Filippo. L’ex medico con il figlio, durante un colloquio in carcere, aveva affrontato la questione del pizzo che qualcuno era andato a chiedere ai commercianti per il negozio di corso Finocchiaro Aprile. “È venuto tuo figlioccio… Niceta”, diceva il figlio al padre. E il boss aggiungeva: “Ah, Massimo”. Infine, il consiglio del capomafia: ”Gli dici, per ora chiuditelo come vuoi, poi quando esce lui se ne parla”.
Frasi che confermerebbero, a detta dell’accusa, i presunti contatti dei Niceta con i mafiosi di Palermo e Trapani.
Ci sono anche le dichiarazioni di Angelo Siino, ec ministro dei lavori pubblici di Cosa nostra: “Mario Niceta era prestanome di Giuseppe Abbate, capo della famiglia mafiosa di Roccella, a quel tempo detenuto e che svolgeva tali compiti di interposizione fittizia in ragione della ingenti disponibilità patrimoniali”. Il rapporto fra i due sarebbe nato quando l’imprenditore, allora impegnato nel settore del calcestruzzo, era andato a chiedergli protezione per non pagare il pizzo.
Massimo Ciancimino racconta addirittura di averlo visto tra i presenti a una riunione organizzata nei primi anni Ottanta in una villa di fronte l’Hotel Zagarella. C’erano Vito Ciancimino, Bernardo Provenzano, Pino Lipari Tommaso Cannella e pure Mario Niceta. “Un amico”, lo avrebbe definito l’ex sindaco di Palermo. In quell’incontro si sarebbe discusso delle paure dell’ingegnere Pierluigi Matta preoccupato per la sua vita dopo l’omicidio del socio, l’ingegnere Roberto Parisi, ex presidente del Palermo calcio e titolare della Icem, la società che si occupava degli impianti di illuminazione pubblica a Palermo.