Ventiquattro garofani rossi
Una luce su Mafiopoli
– Desidera?
– Avete dei garofani
– Certo, quanti ne vuole?
– Una ventina, anzi ventiquattro, grazie.
– Di che colore li vuole?
– Rossi, sì, ventiquattro garofani rossi; ecco dieci euro, bastano?
– Certo, adesso le do il resto
Aveva contato ventiquattro garofani rossi, ne aveva accorciato un po’ il gambo e li aveva stretti in un mazzo, in un bel mazzo di garofani rossi che faceva piacere a vederlo.
Il negozio di fiori era alle spalle della casa di don Tano Seduto, io e Giovanni ce ne tornavamo dai ragazzi e da Maria Luisa per portarli sulla tomba di Peppino.
– Hai preso ventiquattro garofani rossi per Peppino – mi ha detto Giovanni;
– Sì, uno per ogni anno …, uno per ogni anno che abbiamo dovuto aspettare per ottenere verità e giustizia.
Il sole riscaldava e accendeva una luce forte su Mafiopoli, stavo meravigliosamente bene, sentendo quasi addosso quel bel mazzo di garofani rossi che tenevo stretto a me mentre ascoltavo Giovanni che mi raccontava delle migliaia di ragazze e ragazzi che aveva incontrato nelle scuole per parlare di Peppino.
Eccoci passare davanti alla casa di don Tano Seduto e ripercorrere i cento passi fino alla casa di Peppino, dove ci aspettano Maria Luisa e i ragazzi: cento passi e il ricordo di ventiquattro anni di processi, di delusioni, di silenzi, di solitudine e di rabbia e di tutto il contrario.
Ascoltavo il racconto di Giovanni e, percorsi i cento passi, giunti a casa di Peppino, ritrovati i ragazzi e Maria Luisa ho rivisto tutto il racconto negli occhi di mamma Felicia, nei suoi occhi tanto piccoli, quanto ancora vivaci ed attenti.
– Ha visto, mamma Felicia, quanti amici ha Peppino?
– E’ vero, è vero, ma hanno sbagliato.
Hanno sbagliato, cosa, chi ha sbagliato?
– Hanno sbagliato ad ammazzarlo a Peppino.
Era ed è questo, sarà sempre questo il pensiero dominante di mamma Felicia, dominante rispetto a tutto quello che è venuto dopo, rispetto a quello che è accaduto anche oggi, in questa calda giornata a Mafiopoli: piccola, curva, fragile nonnina, a vedersi, certo, ma ascoltarla, guardarla negli occhi, stringerle la mano, sentire il tono della sua voce è come assistere ad un prodigio, perché mamma Felicia la senti grande, forte, indistruttibile.
Dobbiamo lasciarla perché dobbiamo portare i fiori a Peppino, troviamo subito la tomba: è in una cappella appena dentro il cimitero sulla destra.
Eccolo Peppino nella foto più diffusa, jeans e felpa neri mentre cammina e abbozza un sorriso. Voglio che tutti i ragazzi entrino nella cappella per leggere quello che c’è scritto sulla lapide. Non devo fare molta fatica, in verità, le ragazze e i ragazzi entrano, leggono i messaggi che altre ragazze e ragazzi avevano lasciato, ne scrivono e ne lasciano altri e tutti, alzando gli occhi sulla parte sinistra della cappella, leggono incise sul marmo bianco della lapide queste parole: “Peppino Impastato militante e rivoluzionario comunista assassinato dalla mafia democristiana”
Fuori dalla cappella Giovanni, Maria Luisa e i ragazzi parlano di don Tano Seduto, della mafia, di libertà e di giustizia, dentro la cappella, dietro una lapide di marmo bianco e un vaso con ventiquattro garofani rossi riposa Peppino. Siamo e ci sentiamo vicini a Peppino, alla sua storia e alla sua guerra, che è anche la nostra storia e la nostra guerra.
Mi sono commossa. Solo ciò che porta la verità darà fiducia ai giovani. Sono stanchi di ipocrisie. Ma Peppino non doveva morire, è vero. Noi che siamo restati, siamo una parte di lui e viviamo anche per lui.
Grazie,
Mariella De Santis.