Vedere, sentire e parlare Lea Garofalo e l’antimafia che si organizza
La storia di Lea e Denise è diventata la storia di tutti, il simbolo di un riscatto, l’orgoglio di una ribellione
Milano, Arco della Pace, è la notte tra il 24 e il 25 novembre 2009. Lea Garofalo, una testimone di giustizia calabrese, viene rapita, torturata ed uccisa. Strangolata con un nastro floreale delle tende di un appartamento di via Fioravanti a Milano, a pochi passi dalla movida milanese, dall’ex compagno Carlo Cosco e il fratello di questo, Vito; il corpo messo in uno scatolone e alla fine trasportato in un garage nella località San Fruttuoso vicino a Monza. Lì l’ordine di Carlo Cosco: “La dovete carbonizzare”. Lea deve pagare con la vita la scelta di aver visto, sentito e parlato della ‘ndrangheta.
Il 6 luglio del 2011 si apre il processo di primo grado, che vede la diciannovenne Denise costituirsi parte civile contro il padre, la sua famiglia e l’ex fidanzatino Carmine Venturino complice dell’omicidio della madre.
Sarebbe stato proprio lui – dopo la sentenza di primo grado che condanna i sei imputati all’ergastolo – a rivelare agli inquirenti che i resti carbonizzati di Lea Garofalo sono stati frantumati e nascosti in un tombino; non quindi sciolta nell’acido come ipotizzato inizialmente.
Una testimone di verità
Il 29 maggio 2013 la Corte d’Assise d’Appello di Milano ha emesso la sentenza di secondo grado, confermando quattro ergastoli per Carlo Cosco, Vito Cosco, Massimo Sabatino e Rosario Curcio, assolvendo Giuseppe Cosco per non aver commesso il fatto e condannando Carmine Venturino a venticinque anni di reclusione, senza le attenuanti specifiche previste per i collaboratori di giustizia.
Per la legge italiana, infatti, Lea Garofalo non è vittima di ‘ndrangheta. Ma lo è per i ragazzi del presidio milanese di Libera dedicato proprio a Lea Garofalo e per tutta la società civile: per loro Lea è una testimone di verità e di giustizia – e mai una collaboratrice, come tanti organi di stampa si ostinano, erroneamente, a scrivere.
Per questo, all’indomani della chiusura del secondo grado, si fa strada la richiesta di un degno funerale a Milano.
La celebrazione di un funerale civile per Lea Garofalo rappresenta un momento decisivo per Milano, “una città antimafia” per dirla con le parole del suo sindaco Giuliano Pisapia. Rappresenta una tappa di un percorso iniziato ormai due anni fa con la prima udienza del processo contro i Cosco.
Un processo pressoché ignorato dai media nazionali, eccezion fatta per Stampoantimafioso, i Siciliani giovani e Narcomafie, con la giornalista Marika Demaria.
È stata chiara sin da subito l’importanza simbolica e concreta di questa vicenda: non si può affermare di fare giornalismo sul fenomeno mafioso al nord se non si racconta la storia di Lea, testimone di giustizia uccisa dalla ‘ndrangheta proprio qui, a Milano.
Oggi le persone ci sono
Poi, qualche mese dopo l’inizio del processo sono arrivati i ragazzi che avrebbero fondato il Presidio Libera Lea Garofalo con il preciso scopo di sostenere Denise, la figlia di Lea e di Carlo Cosco. Ragazzi a cui si deve molto; è indubbio che se sabato 19 ottobre la centralissima Piazza Beccaria si è stretta nel ricordo di Lea è grazie alla loro caparbietà, al loro spirito di iniziativa.
Oggi, infatti, a differenza di due anni fa, le persone ci sono. Nessuno, ieri. Almeno duemila, ora.
È vero, ha ragione don Ciotti quando richiama tutti alla responsabilità di “scegliere, di scegliere di più”; ma ha una ragione anche quella piazza, che piange e sventola bandiere gialle, arancioni, fucsia e si fa carico dell’impegno di vedere, sentire e parlare, come recita lo slogan scelto dagli organizzatori della manifestazione.
E nelle stesse ora, a Sedriano…
Il 19 ottobre passerà alla storia: come la giornata in cui Milano onora collettivamente Lea Garofalo proprio nelle stesse ore in cui per le strade di Sedriano, cittadina nell’ovest milanese, sfila un corteo di protesta contro il sindaco Alfredo Celeste, arrestato un anno fa per corruzione. Un corteo di protesta contro la ‘ndrangheta. Sedriano infatti è il primo comune lombardo sciolto per infiltrazione mafiosa.
La ‘ndrangheta, attestano la magistratura e il Ministero dell’Interno, ne ha pesantemente condizionato l’attività amministrativa.
Sedriano, Milano, Lea Garofalo: tre simboli di riscatto, di lotta, di moralità violata e riconquistata. O da riconquistare, con la promessa, come ammonisce don Ciotti, di “stare tutti dalla stessa parte”. Scriveva Ester Castano in un articolo sul settimanale l’Altomilanese: “Se la mafia si organizza, anche l’antimafia deve farlo”. Che questo stia avvenendo?