“Ve lo do io il lavoro”
Renzi “rottama” e i lavoratori scendono in piazza. Non hanno vogli a di essere rottamati pure loro. “La crisi la deve pagare chi ci ha guadagnato”. Giusto. Ma dal dire al fare…
Il cosiddetto “Jobs Act” si propone in primo luogo di “generare nuova occupazione, in particolare giovanile”. Il testo, tuttavia, oltre a essere assai vago, deve ancora passare al vaglio della Camera e successivamente si dovranno attendere i decreti attuativi previsti per la prima metà del prossimo anno.
Allo stato delle cose il provvedimento non solo non appare efficace, ma consiste in uno scambio che potrebbe rivelarsi fortemente ineguale.
Da un lato, più libertà di licenziare, mantenendo il reintegro previsto dall’articolo diciotto soltanto nel caso di espulsioni discriminatorie;
dall’altro uno “sfoltimento” delle tipologie contrattuali, che dal pacchetto Treu alla riforma Fornero, passando per la legge Biagi, sono aumentate a dismisura, come ha riconosciuto anche il ministro del Lavoro Poletti, il quale ha sottolineato che oggi si assume con contratto a tempo indeterminato soltanto nel 17 per cento dei casi.
L’idea del governo Renzi è di semplificare la foresta contrattuale, eliminando – pare – i contratti a progetto e introducendo il “contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti in relazione all’anzianità di servizio” con “l’obiettivo di farne la normale modalità”.
Quanto ai contratti a termine, verrebbe stabilito un tetto di 36 mesi complessivi, con un massimo di otto proroghe e una quota non superiore al 20 per cento dell’organico.
Totale facoltà di licenziare
Il problema è che il contratto a tempo indeterminato di cui sopra risulta minato in partenza: dalla pressoché totale facoltà di licenziare in qualunque momento (il massimo della flessibilità) e dalla compresenza di altre forme contrattuali (il contratto unico è stato escluso), che seppur ridotte di numero continueranno ad essere – nonostante la promessa di sgravi fiscali per le assunzioni a tempo indeterminato – le più appetite dal datore di lavoro, come accaduto finora.
Non solo: gli stessi datori di lavoro, avranno due armi in più:
1) la possibilità di spostare il dipendente da una mansione a un’altra,quindi di demansionarlo;
2) il ricorso alle nuove tecnologie per la sorveglianza e il telelavoro.
Il lavoratore non avrà quindi maggiori tutele, ma meno tutele.
Il lavoratore avrà meno tutele
Il governo punta anche a favorire le imprese che stipuleranno contratti di solidarietà attraverso la riduzione dei contributi, ma i contratti di solidarietà si fanno con i lavoratori che già ci sono, non certo con l’assunzione di nuovi.
Come sarà possibile, dunque, raggiungere l’obiettivo di generare nuova occupazione? Nel frattempo, il provvedimento sul mercato del lavoro va avanti pressoché in bianco e a colpi di fiducia poiché, dice ancora Poletti, “abbiamo un urgente bisogno di concludere il percorso”?
Il primo sciopero contro Renzi
Le opinioni contrarie non sono gradite al “mandante” (leggasi Merkel ed Fmi, che hanno prontamente espresso il loro appoggio alla riforma). Neppure quelle interne della minoranza del Pd, che ad ogni modo abbaia molto ma non morde mai.
La sola opposizione è quella della Cgil, che – dopo la manifestazione del 25 ottobre a Roma – ha preannunciato uno sciopero generale. Il primo contro Renzi. E molto probabilmente non l’ultimo.