Vacanze siciliane
Nel paese delle antenne avvelenate
Ecco, sono a Niscemi, in un bel posto dove Enzo, un carissimo ragazzo pieno di dolore e odio, mi presta la sua tenda e il suo materassino.
Mario, un uomo intorno ai 60 anni con una storia potente alle spalle mi ha fornito di una coperta. Di Mario e della sua compagna mi sono letteralmente innamorato: è magrissimo, tutto nervi, si vede che ha avuto molta forza in gioventù e attualmente la testa la tiene ben salda, sa cosa significa vivere, gli occhi sono azzurri e pieni di storia, dentro i suoi occhi ti ci puoi perdere.
Dal primo momento che ci siamo incontrati ha avuto un affetto immenso per me, come per un figlio vero, cioè con distacco, senza farsi coinvolgere troppo dai sentimenti, perché quelli ti fottono, i sentimenti ti prendono per il culo perché i sentimenti sono muri tra padre e figlio; muri di protezione e campane di vetro in cui il figlio è protetto e poi quando il padre non c’è più, chi lo proteggerà? Allora sarà scaraventato nella realtà e saranno cazzi perché i suoi canini non saranno pronti a mordere, a difendersi, perché quello è stato sempre il compito del padre, o sarai pronto a farteli crescere subito o sarai agnello sacrificale per sempre.
“Sono venuto per stare con voi”
Ritorniamo al campo: la mattina che ci arrivo ci saranno state al massimo 25 persone, dei ‘privati’ gentili e anche loro “no Muos” mettono a disposizione uno spazio della loro terra. Alle 14 si mangia, e dopo la pennica si fa riunione. Io mi presento con la telecamera e subito mi dicono che non posso riprendere. Ma come? Io sono venuto fin qua da voi per stare con voi e non posso riprendere? Mi dico maledicendomi tra me e me! Ma sto zitto, aspetto la fine della riunione e mi accorgo che quello che dicono non ha alcun valore sovversivo, però mi incazzo a morte perché Antonio Mazzeo fa un intervento di antropologia rivoluzionaria importante che valeva solo per quello la pena di essere lì.
Chiedo la parola e intervengo. “Io sono venuto qui per stare con voi, per fare le cose con voi, per darvi una mano per quello che mi è possibile. Quindi senza problemi ditemi che posso fare perché se poi la cosa non mi interessa faccio le mie due interviste e me ne vado a continuare il mio viaggio, perché le due interviste mi bastano per raccontare la vostra battaglia e non voglio esservi di intralcio. Vi chiedo di lasciarmi riprendere tutto o di dirmi chiaramente di no e quindi darmi la possibilità di andarmene.
A questo punto si apre un dibattito monopolizzato da un avvocato che terrorizza gli altri “no Muos” prevedendo catastrofi immani, adunate sediziose, arresti in massa, associazioni di bande armata o terroristiche. Posso restare però perché la sera, anzi la notte, ci sarà un’operazione anti americana, anti Muos. Qualcosa di forte, almeno a livello simbolico. Io sono ammesso a riprendere, evitando i volti, tutto quello che succede intorno al territorio americano in Sicilia.
E’ notte. il concerto è finito, abbiamo cenato, ed ecco che un manipolo di uomini si prepara all’assalto. Andiamo a piedi! no… con le macchine! minchia, andiamo a piedi! noooo con le macchine! Oh, sono 5 km da qui. Insomma un gruppo, i più giovani, va a piedi, e un altro con le macchine.
Arriviamo a destinazione. La rete che ci separa dalle infami antenne è lì. Ci sono una quindicina di torce divise per 30-35 persone, pentole, qualche fischietto e le voci. I ragazzi urlano a squarciagola slogan contro la base, anche in inglese per farsi capire bene dagli yankee. Pentole e coperchi vibrano forte sulla rete di protezione e sui cartelli che avvertono che quello è territorio militare e americano. Per fortuna ci sono anche i cani dei vicini che ci aiutano con il loro abbaiare e ululare.
La scena secondo me è tenera e apocalittica, una specie di parodia della mitologia greca.
Un manipolo di formiche che vuole attaccare Zeus, altro che i titani. Quelli erano pericolosi per davvero, grandi, cattivi e agguerriti, tanto che il dio supremo gli deve lanciare dei fulmini per fermarli e sconfiggerli. Noi, piano piano, arriviamo a una specie di preingresso alla base. Io sono sfinito, devo dire, le gambe mi fanno male, sentendomi più vicino ai giovani ho scelto il percorso a piedi, ma sono sfasciato, veramente!
Là si scatena tutto l’odio e la violenza contro la base di controllo degli aerei senza pilota. Le pentole si piegano e si ammaccano attimo dopo attimo mentre percuotono il cancello. Alcuni cartelli vengono divelti e portati via come bottino di saccheggio, tutti sono felici e io continuo a riprendere schiene e piedi, per non creare problemi ai ragazzi, mentre le telecamere della base li riprendono in volto, perché le persone non hanno preso nemmeno la precauzione di coprirsi la faccia con un fazzoletto o un passamontagna.
D’un tratto arrivano polizia e carabinieri, un’ auto per ciascuna forza di sicurezza, 4 uomini, senza dire nulla. Il gruppetto comincia ad allontanarsi immediatamente dalla base, in silenzio, poi ricominciano gli slogan cantati in precedenza contro il muos e gli americani stavolta in direzione delle forze dell’ordine. Arriviamo alle auto, e poi finalmente al campo, distrutti.
Non finisce così. Fuori dal campo c’è la Digos che chiede documenti. Alcuni ce li hanno e altri no, comincia un battibecco che sa più di riunione condominiale che di rivolta e conseguente rappresaglia, finisce tutto a tarallucci e vino con 4 nomi appuntati su un foglio dalla Digos.
Al rientro dall’azione “l’avvocato apocalittico” comincia a prevedere capi d’imputazione: devastazione, adunata sediziosa, schiamazzi notturni e chi più ne ha più ne metta. Perfino a me viene un brivido lungo la schiena, magari mi arrestano e mi uccidono per sbaglio cercando di estorcermi una confessione che farei immediatamente perché non credo che potrei sopportare alcun dolore fisico di quelli veri!