Un’aspirina contro la polmonite
Decreto anticorruzione? Buone intenzioni, ma risultati aleatori. Ecco perché
Una legge si giudica dalla sua efficacia una volta che è entrata in vigore, ma non è difficile prevedere fin d’ora che il ddl anticorruzione del governo Monti, approvato dal Senato con il voto di fiducia e che attende la Camera, avrà la forza di un’aspirina contro la polmonite.
C’è un Paese che sta affogando nella corruzione, uno dei più corrotti del mondo (nel 2001 eravamo al 29° posto su 91 Paesi esaminati nella classifica internazionale per grado di corruzione, nel 2010 siamo scesi addirittura al 67°), un Paese dove – come ha ricordato anche il Financial Times – la corruzione drena 60 milioni all’anno dalle casse della pubblica amministrazione (pari al Pil della Croazia, la 67esima economia mondiale), eppure il nostro governo “tecnico” vara una legge che ancora una volta va incontro ai problemi dell’ex presidente del consiglio Berlusconi, accorciandogli i tempi di prescrizione nel processo Ruby, e interviene soltanto sui punti più marginali del fenomeno.
È vero, la guardasigilli Paola Severino ha annunciato che per gli aspetti più importanti (ripristino del falso in bilancio, incandidabilità dei condannati in primo grado per reati gravi, autoriciclaggio, voto di scambio…) si provvederà più avanti.
Ma questa non è altro che una promessa: i tempi di durata della legislatura sono tali che la responsabilità di condurre in porto le norme anticorruzione più incisive starà al prossimo esecutivo, che sarà di natura politica, quindi poco interessato alla questione, come tutti i governi precedenti.
Qualcuno l’ha definito un primo passo, mai operato prima. Altri, viceversa, hanno sottolineato il paradosso di una legge contro la corruzione votata da un Parlamento nel quale siedono numerosi corrotti o aspiranti tali: il Senato ha approvato la proposta non grazie a una volontà di lotta alla corruzione, ma semplicemente per rifare un po’ il trucco alla politica di fronte all’elettorato dopo i casi Fiorito e Regione Lombardia.
Non è un segreto che per costringere il Pdl a rimuovere le barricate il provvedimento ha dovuto tenere conto dei diktat di questo partito: il governo Monti, il “governo degli onesti”, avrebbe potuto e dovuto osare di più: il momento, a ridosso della campagna elettorale, non poteva essere più favorevole.
Il problema è che, nel tourbillon suscitato dagli annunci di chi si candiderà e chi non si candiderà, non si vede una possibilità reale di cambiamento del ceto dirigente, come dimostra peraltro la cena del “rottamatore” Renzi con la crema dell’alta finanza, organizzata peraltro da un business man la cui holding ha sede alle isole Cayman. Come ha scritto il sociologo Tonino Perna su il Manifesto, “la crisi verticale dei partiti, delle ideologie, porta a selezionare nel modo peggiore la classe politica” e “i partiti sono ormai diventati delle strutture autoreferenziali di potere, di lobby e di affari”. Se si vogliono cambiare le cose è necessario un controllo popolare e diretto sulla pubblica amministrazione. Il disegno di legge del governo Monti istituisce la figura del “commissario anticorruzione”, che potrà avvalersi nel suo operato delle forze della Guardia di Finanza. Ma, se l’intero sistema è corrotto, chi garantirà della sua incorruttibilità?