domenica, Novembre 24, 2024
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Una voce contro il potere. Il cinema di Giuseppe Fava.

Attraverso la visione totale dell’opera di Fava, guardandola in filigrana, si svelano, tra i personaggi centrali, delle figure chiave costruite nel tempo, testo dopo testo, immagine dopo immagine, che lo accompagnano verso il punto cruciale di tutto lo sforzo creativo: la ricerca della verità. Uno tra tutti il Michele di Prima che vi uccidano, il più profondo forse, forse il più cinematografico, la cui “passione” ritornerà in quello che sarà – per forza di cose – l’ultimo romanzo/sceneggiatura, Passione di Michele. O la sua controparte femminile, Rosalia/Pupa, la cui disperazione di madre brechtiana si intreccia a un esser puttana, vittima morale e fisica: i volti di donna che si moltiplicano in opere diverse (in due testi teatrali La violenza e Foemina Ridens, nei film di Schroeter e Vancini, in Anonimo Siciliano – la regia cinematografica dello stesso Fava).

Questi meccanismi creativi e di ricerca saranno sempre accompagnati da forme stilistiche difficilmente etichettabili, in cui in certi casi la potente espressione viene tenuta a freno da una sorta di iperreale minuzioso, fotografico, il cui immaginario è piantato in Sicilia, negli anni che vanno dal secondo dopoguerra alla metà degli ottanta, mentre altre volte esplode con la povertà di uno schizzo e una ricchezza fantastica che giunge ai limiti del surreale.

È nota l’importanza che la fotografia ha avuto nel lavoro di Fava, dal giornalismo alla pittura. Allo stesso modo credo che la sua scrittura nasca da un rapporto intrinseco con l’immagine in movimento: è la scrittura di un regista che fa vedere e racconta attraverso un movimento della descrizione. Vittorio Sindoni ci dice che sono stati necessari solo tre giorni per scrivere la sceneggiatura delle 6 puntate per la Rai. 6 film, tra documentario, fiction e teatro, per un totale di 210 minuti, scritti in soli tre giorni. Sono infatti film tratti dalle inchieste contenute in Processo alla Sicilia e I Siciliani, testi che sono già in se delle sceneggiature complete. Film che contengono estratti di quelle opere teatrali le cui didascalie sono così minuziose che lo stesso Giorgio Albertazzi ne sottolineò la bellezza dicendo che “avrebbero meritato una pubblicazione a parte” (è una dichiarazione di Pippo Pattavina, contenuta negli Atti della giornata di studi dell’Università di Catania). La sceneggiatura è dunque già scritta, è il risultato di trent’anni di lavoro e analisi, basta spezzare, riallacciare, incastrare i pezzi in questo grande quadro post-moderno di cui Fava conosce ormai le venature più sottili, i solchi più profondi, poetici, terribili.

Nel 1967 Fava attraversa la Sicilia in un lungo viaggio, cerca e incontra le realtà più misere, disperate, affascinanti e dimenticate dell’isola. La Sicilia si trovava in una fase decisiva, il passaggio da una condizione prevalentemente sotto-proletaria verso un infausto progresso che, sotto la triplice alleanza Stato-Mafia-USA, stava investendo tutta la nazione. Il giornalista riporta questa ricerca in 35 lunghe inchieste poi pubblicate in un testo dal titolo Processo alla Sicilia, testo in cui è ancora evidente una spinta positiva nei confronti della società siciliana a venire (e dell’uomo), una speranza. È una sensazione condivisa da molti in quel periodo: basti pensare al lavoro che Roberto Rossellini realizza per la Rai nel 1970, un documentario dal titolo “Idea di un’isola”, nel quale evidenzia la nuova industrializzazione e tratta i caratteri siciliani con lo stesso tono positivo. Certo, questo documentario fu realizzato per scopi prettamente economici, si doveva comunicare agli imprenditori USA che la Sicilia stava diventando una terra in cui poter investire grosse somme di denaro, ma è anche vero che certe proposte imprenditoriali venivano in quel periodo salutate con entusiasmo dallo stesso Fava – ad esempio il progetto iniziale del ponte sullo stretto o l’industrializzazione di zone naturalisticamente splendide come Priolo e Augusta. Non si poteva ancora immaginare come questo progresso si sarebbe presentato qualche anno dopo.

Ed è appunto dopo dieci anni che Fava decide di ripercorrere lo stesso viaggio, per conoscere le manifestazioni del progresso, per guardarlo in faccia e capire cos’è cambiato nell’isola. Il risultato sono altrettante inchieste pubblicate in un nuovo testo, in una sorta di remake, nel 1980, I Siciliani, in cui si rende conto delle catastrofi che stanno distruggendo l’isola, dell’impossibilità di uno sviluppo corretto e controllato che possa riflettere e riflettersi in una società civile. La costa sud-orientale dell’isola è rovinata da industrie già obsolete, la mafia è cambiata, sta dentro tutto e divora tutto, il ponte è ormai solo un enorme inganno.

È proprio intorno alla fine degli anni settanta che Fava prende in considerazione la possibilità di usare – in prima persona – le immagini in movimento, di scrivere e agire mediante il cinema, o meglio, la televisione. E’ il periodo in cui si comprende il potere (anche il più oscuro) del mezzo e le guerre combattute su vari fronti porteranno al conosciuto predominio della Tv commerciale. Dal canto suo Fava ha sempre preferito il teatro come veicolo di pensiero, perché arriva in modo diretto alla gente, quindi più adatto a “restare dentro la verità” (Cronaca di un uomo libero, di Rosalba Cannavò, p.107), evita le trappole e le crisi economiche del cinema, e può “…essere fruibile anche da un punto di vista televisivo. […] Attraverso lo strumento televisivo il teatro può essere portato alla conoscenza di immense moltitudini […]” (Pietro Isgrò, Cinque domande “cattive” a Giuseppe Fava, “La Sicilia”, 25.1.1975).

Mediante le immagini televisive poteva intrecciare le inchieste, mettere in scena stralci delle opere teatrali, ricostruendo – ancora – certi personaggi, riadattando storie e narrazioni, poteva mettere in gioco la stessa propria presenza fisica e mostrare a milioni di persone quello di cui stava così assiduamente scrivendo.

Fava in passato aveva collaborato con registi di spessore, conosce quindi l’industria-cinema, e non si fida: troppe trappole, il cinema è in piena crisi economica, le sale iniziano a svuotarsi e da lì a poco una percentuale altissima passerà ai porno e successivamente chiuderà i battenti.

Nel 1972 collabora con Vancini per “La violenza: quinto potere”, con il quale si crea un rapporto di profonda amicizia. Vancini allarga il soggetto dell’opera teatrale agli atti della storica commissione antimafia presieduta da Francesco Cattanei tra il 1968 e il 1972 (inserendo tra le altre scene una ricostruzione della strage di Viale Lazio). Questa soluzione, per quanto valida e utile a far conoscere al pubblico l’azione della mafia, disperde la forza e la coerenza del testo teatrale tutto sviluppato all’interno di un aula processuale, fortemente claustrofobico, in cui i ritratti e le parole formano dei mondi a sé, che si scontrano, si distruggono in un’opera che per potenza ricorda il Marat/Sade di Peter Weiss. Il film, come già scritto, non piacque alla critica, non ebbe seguito.

Gente di rispetto viene girato da Luigi Zampa nel 1975. Zampa aveva collaborato più volte con Brancati, ma sono passati più di vent’anni e ora non riesce ad interpretare il romanzo di Fava – i cui elementi sono più articolati e oscuri. Ne fa un film carico di convenzioni lontano dalla complessità e dai folgoranti spunti narrativi del libro, un film che manifesta la stanchezza del regista (espedienti che sfiorano il ridicolo, come il troppo evidente uso di manichini, delusero molto Fava).

Scritto inizialmente per il film e successivamente diventato un romanzo, Passione di Michele è una sceneggiatura enorme che il regista tedesco Werner Schroeter è costretto in buona parte a tagliare – per quanto sembri dalle sue dichiarazioni che molte scene presenti nel testo siano state girate e non montate: “Ho girato molto, sono stato costretto a tagliare numerose scene perché il film durava sette ore…” (in “Cinéma” n. 267, marzo 1981). Il risultato è Palermo oder Wolfsburg, 1981, 175 minuti, un capolavoro, Orso d’Oro a Berlino, che dimostra ancora una volta – se necessario – come il discorso di Fava su giustizia, violenza, potere e miseria umana vada ben oltre i confini dell’isola. Nonostante il grande successo in Germania, nonostante affronti una questione che riguarda milioni di italiani – quella dell’immigrazione nei paesi del nord Europa – il film non fu mai distribuito in Italia…

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