Una strage per colpire Di Matteo? Riflettori puntati su Riina e Lorusso
Palermo. Fa un certo effetto vedere il primo video dei dialoghi tra Totò Riina e Alberto Lorusso pubblicato questo pomeriggio sul sito di Repubblica. Quelle condanne a morte lanciate dal capo di Cosa Nostra acquistano quindi le voci e i volti di chi le pronuncia. Seppur in lontananza restituiscono plasticamente il quadro che si era delineato leggendo la trascrizione di quei dialoghi.
“Vedi – dice Riina a Lorusso riferendosi a Nino Di Matteo –, si mette là davanti, il presidente, si mette là davanti si presenta per… tutto… guarda così, guarda, mi guarda guarda con gli occhi puntati così e io pure… a me non mi intimorisce, a me paura…”. E Lorusso gli replica: “E’ lui che è intimorito con la cacarella e ci fanno tutte queste cose, queste strumentalizzazioni, questo è questo, questo è, ma secondo me questi vogliono anche mantenere viva la lotta alla mafia sempre viva la situazione e allora ci bombardano di queste notizie, di questi pericoli, di ‘ste cose ci fanno questo bombardamento”. A quel punto nel video si sente la vera e propria condanna a morte del boss di Corleone nei confronti del pm Di Matteo: “Ed allora organizziamola questa cosa. Facciamola grossa e dico e non ne parliamo più”. Dal canto suo Alberto Lorusso risponde affermativamente con la testa. Riina insiste: “Perché questo Di Matteo non se ne va, ci hanno chiesto di rinforzare… gli hanno rinforzato la scorta, e allora se fosse possibile… ad ucciderlo… un’esecuzione come eravamo a quel tempo a Palermo partivamo la mattina da Palermo a Mazara, c’erano i soldati poverini a fila indiana a quel tempo”. “Ecco perché incominciamo da Di Matteo – prosegue l’anziano boss – , perché in questi giorni Di Matteo, Di Matteo perché Di Matteo tutte, tutte, tutte le cosa le impupa lui. Perché… perché lui pensa ma se questo è Riina ma questo è così freddoso, così terrificante, ma così malvagio… questo, ci macina a tutti e ci mette a tutti sotto i piedi, a tutti… minchia”. Il video termina con ulteriori “insegnamenti” di Riina verso il suo interlocutore. “Le insegno un segreto siciliano: ‘chi il dito bene si attaccò lo ha sempre sano’”. Per poi addentrarsi nel suo ragionamento: “Quindi, quindi, voialtri avete sbattuto la testa quando eravate bambini, perciò che volete da me. A me mi hanno condannato, però mi hanno condannato così. Veramente la vita è una ruota, no? Perché si può essere poveri e si può diventare benestanti, e potere stare bene, io ho iniziato da zero e mi sono trovato poi sollevato”. Fine del film.
Le prossime puntate
Restano inevitabilmente ancora altre “puntate” che verranno divulgate prossimamente in questa spasmodica ricerca delle immagini del boss. In questo modo potremo ascoltare dalla sua stessa voce la domanda di Riina a Lorusso (captata lo scorso 6 agosto) su cosa dicevano i telegiornali in merito a quel “buffone” di Berlusconi. Il boss della Sacra Corona Unita rispondeva sommessamente che a Roma “stanno vedendo come fare per salvarlo “. E a quel punto Riina proferiva un’altra delle sue critiche: “Noi su Berlusconi abbiamo un diritto: sapete quando? Quando siamo fuori lo ammazziamo”. Per proseguire poi: “Non lo ammazziamo però perché noi stessi non abbiamo il coraggio di prenderci il diritto”. Il 20 settembre dello scorso anno, i due erano stati intercettati mentre parlavano dei “guai” del Cavaliere. Nel rispondere ad Alberto Lorusso, che lo aggiornava sulle novità relative al leader di Forza Italia, il boss di Cosa Nostra aveva scosso la testa affermando con convinzione: “Se lo merita, se lo merita. Gli direi io ‘ma perchè ti sei andato a prendere lo stalliere? Perchè te lo sei messo dentro?'”. Secondo gli inquirenti, Riina aveva fatto riferimento a Vittorio Mangano, lo stalliere di Arcore, condannato per mafia, e deceduto nel 2000. Il 25 ottobre, poi, lo stesso Riina era tornato a parlare dell’ex premier, e anche dei potentissimi fratelli mafiosi Filippo e Giuseppe Graviano. Di loro aveva detto: “Avevano Berlusconi… certe volte…”. Seguiva un’altra parola, incomprensibile. Ed è parlando delle stragi di Capaci e via D’Amelio che era emersa ulteriormente l’arroganza e la malvagità di chi si è reso corresponsabile di quegli eccidi. “Loro pensavano che io ero un analfabeticchio – aveva spiegato Riina riferendosi alla bomba del 23 maggio ’92 –, così la cosa è stata dolorante, veramente fu tremenda, quanto non se lo immaginavano”. “Abbiamo cominciato a sorvegliare, andare e venire da lì, dall’aeroporto… siamo andati a Roma, non ci andava nessuno, non è a Palermo…. fammi sapere quando può arrivare in questi giorni qua. Andammo a tentoni, fammi sapere quando prende l’aereo “. Questo specifico passaggio ha lasciato aperto un interrogativo, non si capisce infatti da parte di chi i mafiosi avrebbero dovuto sapere dell’arrivo di Giovanni Falcone a Palermo. Ma è anche parlando della strage di via D’Amelio che le parole del capo di Cosa Nostra restano appese a un filo. “Cinquantasette giorni dopo, minchia, la notizia l’hanno trovata là dentro… l’hanno sentita dire… domenica deve andare da sua madre, deve venire da sua madre… gli ho detto… ah sì, allora preparati, aspettiamolo lì”. Chi aveva informato Riina e i suoi sodali che il giudice Borsellino sarebbe andato da sua madre quella domenica pomeriggio? Il boss aveva fatto riferimento a “quello della luce… anche perché … sistemati, devono essere tutte le cose pronte, tutte, tutte, logicamente si sono fatti trovare pronti. Gli ho detto: ‘Se serve mettigli qualche cento chili in più…’”. Misteri su misteri. Come quello della scomparsa dell’agenda rossa di Paolo Borsellino. “Si fottono l’agenda, si fottono l’agenda”, aveva spiegato Riina a Lorusso. Ma chi è che si è “fottuto” l’agenda del giudice? Certamente non uomini di Cosa Nostra. E proprio in merito a quelle entità esterne su cui si tenta di fare luce al processo sulla trattativa Stato-mafia che il boss di Corleone aveva dato in escandescenze riferendosi al pm di punta di quel processo. “Questo Di Matteo, questo disonorato, questo prende pure il presidente della Repubblica… Questo prende un gioco sporco che gli costerà caro, perché sta facendo carriera su questo processo di trattativa… Se gli va male questo processo lui viene emarginato “. Per poi profetizzare: “Io penso che lui la pagherà pure… lo sapete come gli finisce a questo la carriera? Come gliel’hanno fatta finire a quello palermitano, a quello… Scaglione (il procuratore di Palermo assassinato dalla mafia nel 1971 ndr), a questo gli finisce lo stesso”. Il delirio di onnipotenza è ormai senza limiti: “Io sono stato un nemico pericoloso, non ne avranno mai… (…) non gliene capiteranno più. Gliene è capitato uno e gli è bastato e se ne debbono ricordare sempre”. E ancora “Io ve l’ho detto tannu (l’altra volta) io ve l’ho detto ieri, ve l’ho detto ieri… deve succedere un manicomio, deve succedere per forza, perché vedete deve succedere per forza!”. Per poi concludere con un invito rivolto all’esterno a “divertirsi”, che nel gergo mafioso si traduce in azioni delittuose: “Intanto… intanto io ho fatto il mio dovere, ma continuate continuate, qualcuno, non dico magari tutti, ma qualcuno divertitevi.. una scopettatona (fucilata) nella testa di questi cornuti”.