Una setta in tribunale L’”arcangelo”, le “ancelle” e le ragazzine
Catania. Aperte martedì le discussioni finali delle parti civili nel lungo dibattimento (oltre 7 anni dall’inizio delle indagini nel 2016) contro i presunti esponenti di una comunità parareligiosa accusata di abusi su minorenni presentati come atti di purificazione compiuti da un presunto “arcangelo”. Nel corso del processo la PM Agata Consoli VWV ha chiesto condanne a sedici anni di carcere per violenza sessuale aggravata per il principale imputato, Pietro Capuana, e pene poco inferiori per le tre “ancelle” presunte fiancheggiatrici (Fabiola Raciti, Katia Concetta Scarpignato e Rosaria Giuffrida). Una “pena giusta” è stata chiesta ora dai rappresentanti delle parti offese e del centro antiviolenza Penelope (avvocati Tommaso Tamburino, Roberto Russo Morosoli, Santa Monteforte).
Sono state analiticamente esaminate le testimonianze (qualcuna abbastanza “smemorata”) su oltre seicento pagine di verbali. Sono state ripercorse tutte le attività del gruppo, dal lavoro di volontariato a quello degli acquisti obbligati, dalle multe per chi non ottemperava all’apostolato in varie forme, e poi le “feste” e il privilegio di stare vicine “all’ultimo amico di Gesù”, i turni, i “baci santi”, le locuzioni, le lettere sotto dettatura, le minacce del demonio, l’esclusione, le manipolazioni, le pressioni per “proteggere” Capuana mediante atti di “purificazione” consistenti in contatti particolari.
Non sarebbe stato facile a un osservatore casuale – ripetono gli avvocati – capire a prima vista, nel lungo dibattimento, chi fossero gli imputati chi le parti lese. Madri e figlie che aveno denunciato sono state a loro volta pesantemente accusate, nonostante le testimonianze concordi di persone lontane nel tempo ed estranee alle vicende processuali che raccontano spontaneamente le stesse ritualità, sin dai tempi di Padre Cavalli negli anni ’70: frasi, poltrone, lampade, asciugamani, occasioni. E il silenzio e la connivenza di quella parte di comunità che sembrava vivere come sotto il potere di un’influenza malsana. Un’aura di spiritualità che, se ci fosse ancora il reato di plagio, qualcuno riporterebbe alle dinamiche addebitate agli imputati della “setta Acca”, come ebbe a definirli il procuratore Zuccaro in occasione degli arresti nell’agosto 2017.