Un uomo dei Servizi in via D’Amelio?
Un ispettore: “Una persona in abiti civili accanto alla macchina del giudice subito dopo l’attentato”
Si torna a parlare del mistero della presenza degli apparati di intelligence sul luogo della strage di via D’Amelio. A richiamare alla memoria gli interrogativi su quelle strane ombre è l’ispettore di polizia Giuseppe Garofalo.
Al quarto processo per la strage di via D’Amelio, davanti ai pm Gabriele Paci e Stefano Luciani, Garofalo ribadisce sostanzialmente quanto già dichiarato nel 2005. I dubbi, però, restano intatti. Che ci faceva un esponente dei Servizi nell’immediatezza dello scoppio dell’autobomba? E perché sarebbe stato interessato alla borsa del giudice Borsellino dalla quale poi è stata sottratta la sua preziosa agenda rossa? Si tratta di un collega dell’uomo dei Servizi, di cui parla Spatuzza, presente nel garage dove si imbottiva di esplosivo la Fiat 126 destinata all’eccidio?
“Ricordo – aveva raccontato dieci anni fa Garofalo – di avere notato (in via D’Amelio, il 19 luglio 1992, ndr) una persona, in abiti civili, alla quale ho chiesto spiegazioni in merito alla sua presenza nei pressi dell’auto (del giudice Borsellino, ndr). A questo proposito non riesco a ricordare se la persona menzionata mi abbia chiesto qualcosa in merito alla borsa o se io l’ho vista con la borsa in mano o, comunque, nei pressi dell’auto del giudice.
Il video con la borsa e il capitano
Di sicuro io ho chiesto a questa persona chi fosse per essere interessato alla borsa del giudice e lui mi ha risposto di appartenere ai Servizi. Sul soggetto posso dire che era vestito in maniera elegante, con la giacca, di cui non ricordo i colori. Ritengo che se mi venisse mostrata una sua immagine potrei anche ricordarmi del soggetto”.
In quella occasione i funzionari della Dia di Caltanissetta avevano sottoposto all’attenzione dell’ispettore Garofalo il video che riprendeva l’allora capitano dei carabinieri Giovanni Arcangioli mentre si allontanava da via D’Amelio reggendo la borsa del giudice assassinato.
Dopo averlo visionato, però, l’ispettore aveva escluso che si trattasse della stessa persona in quanto l’abbigliamento del personaggio appartenente ai Servizi era completamente diverso dallo stile casual di Arcangioli. Al Borsellino Quater è stata mostrata un’immagine dello stesso Arcangioli, e la risposta dell’ispettore è stata pressoché la stessa.
“E’ lui, anzi no, anzi sì…”
C’è però un piccolo particolare da chiarire. Il 16 novembre 2005 davanti agli inquirenti Garofalo aveva ravvisato “forti somiglianze tra l’Adinolfi (Giovanni Adinolfi, all’epoca tenente colonnello del Ros di Palermo, ndr) e il soggetto qualificatosi in forza ai Servizi ed interessatosi della borsa”, poi però il 20 gennaio 2006, visionando nuovamente insieme agli investigatori le immagini dell’attentato lo stesso Garofalo “non riconosceva nessuno (neanche l’Adinolfi) ravvisando somiglianze con un soggetto (non meglio identificato) non corrispondente alla figura dell’Adinolfi”.
Questo specifico passaggio non è stato affrontato in aula.
Certo è che lo stesso Adinolfi aveva a suo tempo ribadito quanto già riferito all’autorità giudiziaria di Caltanissetta nell’aprile del 2006 in merito alla sua presenza in via D’Amelio il 19 luglio 1992 ma “seppur riconoscendosi nel soggetto con giacca e occhiali scuri più volte ripreso vicino al col. Arcangioli”.
La valigetta di Borsellino
Successivamente gli inquirenti avevano riportato che nelle sue ulteriori deposizioni lo stesso Adinolfi “nulla aggiungeva (rispetto alle precedenti dichiarazioni) con riferimento a qualsivoglia circostanza attinente la presenza della borsa appartenuta in vita al Dr. Borsellino”.
Le dichiarazioni di Garofalo e Adinolfi si intersecano inevitabilmente con il mistero della relazione di servizio sul ritrovamento della valigetta del giudice Borsellino.
Senza alcuna ragione “logica” quel rapporto viene redatto dall’ispettore di Polizia Francesco Maggi solamente il 21 dicembre 1992, per poi essere consegnato al magistrato titolare delle indagini, Fausto Cardella, otto giorni dopo. Per cinque mesi non esiste quindi alcun atto di polizia giudiziaria inerente il ritrovamento della borsa del giudice. Ma questa è un’altra storia.