Un pugno stretto forte
Cambiare nome, mutare pelle, seguire il divenire delle cose ma senza farne mai spegnere la fiamma
“Questa è la prima cosa che scrivo
tutta con le mie mani.
Ho picchiato sui tasti fino
a rompere la macchina, l’ho rotta
e adesso sono soddisfatto”.
(Mauro Rostagno)
Picchiare forte il proprio corpo fino a farne uscire l’anima. Ribaltare e ridisegnare i sentieri della propria vita, sempre e in maniera incessante. Pianificare la rotta per poi perdersi nella sapiente esperienza del cammino. Cambiare nome, mutare pelle, spostare l’angolo visuale per cogliere l’essenza delle cose nel loro divenire, assecondarne il flusso senza far spegnere mai la fiamma.
Intrappolare l’esistenza di Mauro Rostagno e racchiuderla dentro le maglie poco elastiche delle parole non rende giustizia a quella che è una storia di autenticità estrema, di passione violenta, di coinvolgente umanità. Infedele alle proprie idee ma coerente con se stesso fino alla morte, Mauro è una pagina strappata assieme a molte altre di questo grande libro che si chiama Italia.
La sua storia è anche quella del nostro Paese perché lo abbraccia tutto quanto, si intreccia a destini e a vicende profonde che ne scuotono e ne sconvolgono gli assetti.
Dai fumi della Fiat torinese degli anni’40 parte la sua ribellione che prende forma negli occhi scuri della figlia Monica, si sporca nell’olio grasso delle rotaie di Londra e profuma delle mele di Covent Garden. Intelligente, arguto, perspicace. L’approdo all’Università di Sociologia di Trento suggella in maniera incontestabile la sua forte personalità: avanguardia, portavoce e interprete del malessere e della rabbia accumulata sotto la pelle di intere generazioni. Esplode Fuori dai denti, siamo nel’68 e la lotta contro la scuola è già lotta contro l’intero sistema, quindi la lotta di una parte contro il tutto che si esplica attraverso “la critica delle armi e non solo con l’arma tagliente della critica”. Il discorso che Mauro fa il giorno della laurea di fronte a docenti come Bobbio, Alberoni, Andreatta, ne è la testimonianza :“Di questa tesi non potete discutere, dello sciopero possono parlare solo gli operai, quelli che lo fanno, non voi che siete ciechi e che state seduti a tavolino. Per voi la cultura è una gigantesca mangiata e cagata, un gigantesco processo defecatorio di cui non resta nulla. Siete diventati dei funzionari. Cosa volete capire del mondo!”.
È il periodo delle grandi assemblee, dei dibattiti accesi, appassionati, spronati dalla grande e seducente illusione di dover comunque “fare la storia” per cambiare veramente la vita. Portare l’allegria nella rivoluzione che si gioca ad alti livelli è sinonimo del corroborare lo slancio irrazionale delle azioni ad una cultura e formazione culturale indiscutibili.
L’esperienza in Lotta Continua
L’esperienza in Lotta Continua ha il colore rosso dei volantini distribuiti davanti le fabbriche di Milano e l’odore dell’inchiostro e dei pensieri consumati dalla tiratura smisurata dei giornali che invocano il cambiamento, un’etica diversa nel lavoro che non può ridurre l’uomo in schiavitù. La forza, l’animosità, la realtà cruda di queste rivendicazioni chieste a “pugni stretti”, senza mezzi termini, senza abbassare il capo, con dignità. Un percorso che ha il sapore del pesce fresco della Vucciria di Palermo, dell’umidità appiccicosa delle aule universitarie, del profumo dei capelli di Chicca e del sorriso di Maddalena ancora bimba.
Mauro conosce anche la solitudine del naufrago, la paura di non comprendere l’ago della bussola che punta sempre in un’unica direzione: se stesso. Le braccia della sorella Carla saranno gli argini del fiume che passerà per Macondo, dove “l’arte dell’inutile” sboccerà nella radicale ridiscussione di sé, del proprio ruolo e della propria immagine. Si reinventa nell’India di Osho tra le regole degli arancioni e la ricerca di un equilibrio che lo porterà ad avere un nuovo nome, Sanatano, che racchiude in sé l’Eternità, e a sussurrare una nuova “canzone”: Saman.
Il valore dell’intera vita di un uomo è racchiuso nelle sue scelte. Quando Mauro decide di andare a vivere in Sicilia lo fa con la consapevolezza dell’impegno e della responsabilità di diventare essenza stessa di questa terra. Nel recupero dei disagiati e nella lotta più che mai cruenta, beffarda, irridente allo strapotere mafioso egli riscopre il vitale impulso della ribellione. La sua attività di cronista per RTC è stata incessante e vera, sentita e partecipata come tutte le battaglie che ancora oggi nella nostra Italia devono essere combattute. Nella scuola e in tutti i centri del sapere e della ricerca, nel lavoro e nel diritto alla libera crescita spirituale e individuale di ogni uomo e nel diritto ad informare e ad essere informati che non possono essere giocattolo dei gruppi di potere, mafioso e no, che stuprano la nostra Costituzione.
La storia di Mauro merita di essere raccontata perché lui non si è risparmiato, non si è piegato e non si è arreso mai in nessuna circostanza. Viene ucciso il 26 settembre 1988 sotto una scarica violenta di colpi di arma da fuoco. La terra delle zagare e dei limoni che lui ama tanto odora ancora del suo sangue che, acre e penetrante, viene su dalla polvere di un Sud in cui il solo diritto di respirare lo devi spesso barattare con la compromissione dell’anima e la castrazione di ogni sogno.
Il più alto gesto di verità e di amore
Mauro deve essere ricordato affinché la sua opera, così come tutto il dolore e la rabbia per la sua morte, non rimangano pietrificate tra le rocce aspre e poco generose di Erice, ma da lì salpino altrove per trovare giustizia. Lui ha scelto il modo in cui stare dentro a certi destini, ha distrutto equilibri che dovevano rimanere nascosti, inaccessibili. Ha battuto troppo forte i tasti della macchina da scrivere fino a romperla davvero e chi, come me, è nato in terre di mafia e di sangue, di lotte e di povertà, sa che questo è il più alto gesto e regalo di verità e di amore.