Un nuovo fronte della società civile
Sale giochi. E’ questo il nuovo fronte della sfida tra società civile e criminalità.
Guai a non capirlo. Non perché chi apre una sala giochi debba essere per forza un riciclatore di soldi mafiosi o un architetto di flussi di denaro sporco. O direttamente un padrino stanco di trafficar droga e di uccidere per le strade. Ma perché i varchi che le sale giochi aprono agli interessi mafiosi sono obiettivamente enormi. E si moltiplicano proprio mentre lo Stato (o meglio: una sua parte) sta facendo di tutto per chiudere quelli (tanti) che già esistono. Non è stato così d’altronde anche per i casinò?
Le prime grandi offensive mafiose al nord non hanno riguardato i casinò di Sanremo, di Campione, di Saint Vincent, non è stato lì che si sono allestite le prime indicibili alleanze tra sottosegretari di Stato, senatori, clan mafiosi e palermitani in lotta tra loro?
Recentemente si sta facendo anzi strada la tesi che proprio la scelta di indagare su quelle vicende sia costata la vita più di trent’anni fa al procuratore capo di Torino Bruno Caccia. E come dimenticare, ancora, le richieste provenute a ondate sempre dagli stessi ambienti di aprire un casinò in ogni regione, “per dare slancio all’economia turistica”?
In realtà nascono enormi opportunità di riciclaggio, di usurare chi perde forti somme, e grandi opportunità di guadagno diretto, anche. Senza trascurare quella aggiuntiva, ma non minore, di stabilire proficui rapporti con professionisti e politici con il vizio del gioco. Ebbene, le sale giochi sono la versione popolare e diffusa sul territorio di questa “imprenditorialità”, che cresce sulle fragilità e sulle disperazioni altrui. Sono la realizzazione della figura dello Stato biscazziere, che le promuove in nome delle tasse che può introitare, e che così scommette (è il verbo giusto…) sull’ignoranza e sulla alienazione anziché sulla cultura e sulla ricerca.
Troppe vicende locali fanno pensare fra l’altro che le aperture indiscriminate di queste sale godano dell’appoggio delle istituzioni di polizia, visto che sono i questori i soggetti titolati a concedere o negare l’autorizzazione. Sospetto il vigore con cui vengono difese le autorizzazioni, sospetta la tempestività con cui vengono rilasciate, anche in polemica con i sindaci che intendano farsi carico delle esigenze civili e sociali dei propri comuni.
Per questo lancio una proposta minimale ma che potrebbe rivelarsi utile per non lasciarci alla mercé di una tipologia di imprese che sa avere argomenti molto convincenti e di funzionari “sensibili” a quegli stessi argomenti: che le sale giochi possano essere aperte solo quando vi sia il parere favorevole congiunto di questore, sindaco e prefetto. Con tutta la burocrazia che uccide imprenditori e commercianti, non sarà un parere congiunto a frenare l’economia italiana. Giusto?