Un giornalista vero
Almeno noi, non “commemoriamo”, per piacere. Ma andiamo avanti, ragazzi, e seguiamo la sua strada
Il 5 gennaio 2014 fanno trent’anni da quei cinque colpi alla nuca che a Catania uccisero Giuseppe Fava mentre andava a prendere all’asilo la nipotina. La mafia non poteva tollerare l’esistenza di questo siciliano coraggioso, questo democratico sincero che non era nemmeno un “comunista”. Ma che era un vero giornalista, scomodo perché professionalmente rigoroso.
Aveva detto lui stesso che “in una società democratica e libera, quale dovrebbe essere quella italiana, il giornalismo rappresenta la forza essenziale della società. Un giornalismo fatto di verità impedisce molte corruzioni, frena la violenza della criminalità, accelera le opere pubbliche indispensabili, pretende il funzionamento dei servizi sociali, tiene continuamente allerta le forze dell’ordine, sollecita la costante attenzione della giustizia, impone ai politici il buon governo” (11 ottobre 1981).
Solo che – vale per tutti i tempi e tutti i paesi – l’informazione è un diritto che molti vorrebbero dimenticare, perché mette in difficoltà chi viene a conoscenza della verità; mentre la gente preferisce non sapere oppure sapere e non far nulla perché non vuole fastidi, salvo poi “manifestare” quando chi ci aveva avvertito in tempo è stato fatto fuori.
Ci emozioniamo solo quando leggiamo gli elenchi dei giornalisti uccisi su Reporters sans frontières e impariamo che nella classifica mondiale 2012 sulla libertà di informazione l’Italia sta al 57° posto, dietro Burkina Faso e Papua Nuova Guinea.
Non uccide solo la mafia
Scrivo dal Norditalia, dove le mafie (nella mia regione la ‘ndrangheta, fatto salvo che i magistrati ci fanno sapere della penetrazione anche della mafia nigeriana e cinese) controllano il territorio ed è difficile credere che davvero ci si meravigli se è finito sotto scorta Giovanni Tizian, un giornalista che fa correttamente il suo mestiere.
Chi uccide non è solo la criminalità di quelli che Fava distingueva in “uccisori, pensatori e politici”, ma l’indifferenza di chi non vuole sapere. Ormai siamo consapevolmente complici: alla delinquenza organizzata fa comodo che oltre alle tracce di cocaina in aria viaggi la presunzione di innocenza che intanto lascia fare.
Soprattutto chi è giovane – e, quindi, autorizzato a sapere meno cose – deve fare i conti con gli appalti della sua amministrazione e con il pizzo pagato dai suoi commercianti.
Pippo Fava si era a un certo punto stancato di vivere a Catania ed era andato a Roma: un intellettuale come lui, a cui piaceva scrivere di teatro, sceneggiature, romanzi da cui venivano tratti film importanti, faceva volentieri il gionalista per l’Espresso, il Corriere della sera, il Tempo.
Torna a Catania perché gli offrono l’opportunità di dirigere il Giornale del Sud e la passione professionale gli fa sottovalutare che la “nuova cordata” (in cui entrerà presto Gaetano Graci) non era l’opportunità che sembrava.
Naturalmente alla fine la redazione salta con il licenziamento del suo direttore; il quale fa della sua dignità di “siciliano che sa” tutt’uno con la passione professionale: vende dei beni, crea una cooperativa e fonda I Siciliani.
E’ il 1982, l’inizio della denuncia sul potere dei “quattro cavalieri dell’Apocalisse”, che erano “cavalieri del lavoro” della Repubblica italiana, Francesco Finocchiaro, Gaetano Graci, Carmelo Costanzo e Mario Rendo. E’ anche l’anno dei delitti eccellenti: vengono uccisi Pio La Torre e Carlo Alberto Dalla Chiesa. Anche Enzo Biagi ripeterà, come Pippo, che ai funerali distato gli assassini stavano sul palco delle autorità.
“I mafiosi a volte sono ministri”
Fava nell’articolo “I mafiosi stanno in Parlamento” constata: “Mi rendo conto che c’è un’enorme confusione sul problema della mafia. I mafiosi stanno in Parlamento, i mafiosi a volte sono ministri, i mafiosi sono banchieri, i mafiosi sono quelli che in questo momento sono ai vertici della nazione. Non si può definire mafioso il piccolo delinquente che arriva e ti impone la taglia sulla tua piccola attività commerciale, questa è roba da piccola criminalità, che credo abiti in tutte le città italiane, in tutte le città europee. Il fenomeno della mafia è molto più tragico ed importante”.
Trent’anni dopo, gli stessi problemi
Non meraviglia che gli abbiano chiuso la bocca. Meraviglia che trent’anni dopo abbiamo davanti gli stessi problemi, anche se resi più ambigui e complessi dalle nuove dinamiche dei poteri.
Almeno noi, non “commemoriamo”, per piacere. Pippo Fava è già affidato ai Siciiani Giovani. Ragazzi, andiamo avanti. Facciamo del giornalismo vero, anche se sembra perfino più difficile di trent’anni fa.