Un dolce scacco matto
È quello inferto dai carabinieri e da un imprenditore coraggioso a una banda di mafiosi. Dolce perché? Beh, il siciliano che non s’è arreso è il produttore dei torroncini alla mandorla, famosi in tutto il mondo…
di Alessandro Paternò
Il rifiuto di pagare il pizzo, la denuncia che ne segue e l’arresto di quaranta soggetti: una storia di riscatto e dignità quella raccontata dall’operazione Sotto Scacco, condotta dai carabinieri della compagnia di Paternò dopo le rivelazioni di alcuni collaboratori di giustizia e la denuncia dell’imprenditore dolciario Giuseppe Condorelli.
«È per i miei figli e la Sicilia», questa la dichiarazione di Condorelli, capace di sovvertire con coraggio e semplicità una realtà che, sempre più spesso, vede il tessuto economico vessato dalla mafia o da essa controllato. Il “re del torroncino” ha dimostrato che in Sicilia per poter fare l’imprenditore e avere successo non è necessario essere complice e/o vittima della mafia. Ma la partita non è conclusa: se da una parte vi sono delle forze dell’ordine che lavorano per fiaccare la criminalità e imprenditori che rompono il muro dell’omertà, dall’altro lato vi è una politica incapace di innestare una nuova legislazione antimafia, essenziale per reprimere un virus in continua evoluzione, favorito dal tentativo di sopprimere l’ergastolo ostativo (lo dimostra la vicenda del boss che usufruiva dei permessi premio per organizzare i summit mafiosi).
C’è poi il fronte beni confiscati: quanti comuni sono privi dei regolamenti per la loro gestione? Quanti i patrimoni sottoposti a depauperamento, che potrebbero invece sovvenzionare imprese e start up?
Appendice / una lettera in redazione
“Mi chiamo Francesco e sono un giovane siciliano…”
Gentile redazione,
mi chiamo Francesco e sono un giovane siciliano. Studio economia e una volta laureato vorrei aprire una mia azienda di export made in Sicily. Sono molto grato al cavalier Condorelli per quello che ha fatto. Non credo che sia un eroe, è semplicemente una persona che ha compiuto un’azione giusta, che tutti avrebbero il dovere di fare: denunciare il malaffare.
Certo, quella del cavalier Condorelli è una scelta tutt’altro che ordinaria. Proprio per questo merita ancora di più il plauso di tutti i siciliani onesti e lavoratori. Da giovane (ho da poco compiuto 21 anni) mi sento pieno di una speranza che forse prima non c’era, sommersa dalla rassegnazione di dover andare via dalla mia terra se per lavorare senza i problemi del pizzo e della concorrenza criminale. Vedere che, invece, c’è ancora chi dice no e alza la testa mi ha riempito di entusiasmo e orgoglio: credo che sia proprio questo il merito più grande da attribuire a Condorelli, che ringrazio e a cui rivolgo la mia, umile ma sincera, attestazione di stima.
Certo, non è tutto rose e fiori. Mi spaventa la storia di quel boss che organizzava i summit mafiosi sfruttando i permessi premio per uscire di galera. Forse i colleghi di giurisprudenza avranno da dissentire, ma penso che un caso del genere sia significativo.
Così come ho una marea di dubbi sull’attuale “gestione” dei beni confiscati alla mafia: tranne qualche eccezione l’Italia è ancora indietro su questo fronte. Eppure, si potrebbero fare tante cose, si potrebbero utilizzare i soldi dei mafiosi per sovvenzionare giovani imprese, ricche di idee e voglia di lavorare ma prive delle risorse per mettersi in gioco.
Scusate se mi sono dilungato, spero in futuro libero dall’oppressione mafiosa, dove tutti abbiamo la dignità del lavoro. Ci vorrà molto impegno e non sarà affatto facile, ma come ha detto Condorelli dobbiamo farlo per i nostri cari e per la Sicilia.
Cordiali saluti
Francesco
(PS.: Magari quando aprirò la mia azienda inizierò commercializzando proprio i dolci di Condorelli!)