Un anno a Palermo
Son passati parecchi mesi dal collasso del gruppo dirigente sintetizzato da Cammarata. La situazione è ovviamente molto migliorata. Ma diverse occasioni sono andate perse
I vecchi palermitani di borgata nei momenti di rabbia per i tanti disagi che presentava la loro città gridavano irosi, al Cielo e a tutto il resto, “quannu Diu voli futtiri a unu u fa nasciri mpalermu”(quando Dio vuole fottere qualcuno lo fa nascere a Palermo).
Metafora di una città in cui grandeur e degrado, raffinatezza e volgarità, generosità ed egoismo, gentilezza e violenza si inseguono da secoli, oltre che praticati, ostentati. Così Palermo Capitale – ammirata e riconosciuta – finisce per non essere valore, ma una condanna che inevitabilmente amplifica i difetti e deforma i pregi.
La recente esclusione del Capoluogo siciliano dalla corsa per l’assegnazione del titolo di “città europea della cultura” non è significativa in se perché sono note le motivazioni, di norma molto politiche e poco culturali, che normalmente sovrintendono a queste scelte.
Ma il punto vero è capire se questa città ha saputo cogliere l’esigenza di proiettare tutta una società in un progetto non basato sullo scontato riconoscimento del suo patrimonio monumentale – indiscutibile, nonostante scempi e sottovalutazioni – ma sulla capacità di una città di usare le proprie, talvolta drammatiche criticità, per indicare una prospettiva ben oltre un concorso, per quanto roboante.
Palermo che in una certa fase ha saputo dare una risposta significativa al dominio mafioso – quando era ormai fuori da ogni controllo, perfino del sistema criminale – ma che anche, prima e più di altre città, ha saputo fare emergere nel tempo conformismi e convenzioni in grado di rendere tutto, anche la mobilitazione contro la mafia, rarefatta e talvolta perfino evanescente, se si eccettuano parate e sfoggio di appartenenze “illustri”.
Palermo che non ha saputo interpretare, adeguatamente e con linearità, un progetto collettivo da fare seguire immediatamente al collasso di un gruppo dirigente, già improbabile come comitato di affari, figurasi come mente e motore di uno sviluppo proiettato oltre la contingenza.
Inevitabile provvidenziale Orlando
Alla fine la città, pressocchè unanimemente, è ricorsa – tanto inevitabilmente quanto provvidenzialmente – a Leoluca Orlando, unico ed esclusivo cavallo di razza che è stata capace di esprimere in oltre trent’anni di vita pubblica, tanto da cambiare – dal centro ai suoi meandri più veraci – perfino la terminologia istituzionale che a Palermo – qualunque sia la fede o l’interesse politico che anima i palermitani – confonde la parola Sinnacu con Sinnacuollando.
A consuntivo di due anni di svolta oltre Cammarata, con onestà intellettuale non si può che confermare provvidenziale l’arrivo a Palazzo delle Aquile di Orlando che con l’esperienza e l’abilità amministrativa – più significative di quanto non gli si riconosca di solito – e il suo riconoscimento nelle relazioni politiche, ha potuto affrontare le drammatiche emergenze presentate principalmente dalle aziende dei servizi: Gesip, Nettezza urbana, Trasporti, ecc..
Una miracolosa minima normalità
Probabilmente, non tutti sono in grado di apprezzarne il miracoloso riporto della situazione dei servizi essenziali ad una condizione – forse nemmeno sufficiente, ma di minima normalità appena tollerabile – perché, probabilmente, non si ha contezza della drammaticità della situazione che, solo per fare un esempio, poteva portare presto Palermo ad una situazione dell’igiene pubblica come quella di qualche anno fa a Napoli.
Un’impressione di inerzia
Questo è un riconoscimento che, però, quand’anche tributato, non può compensare un’impressione, molto presente in città, di inerzia e di insufficiente capacità di iniziativa, perfino attribuibile al cavallo di razza, figurarsi alla squadra di governo, dai più giudicata decisamente inadeguata.
Forse si esagera quando si dice che in politica il problema non sono mai i soldi.
Tuttavia, è indubbio che l’innegabile crisi finanziaria del Comune, non può giustificare la stasi di una progettualità adeguata ad una città come Palermo che, ancorché solo apparente, come qualcuno dal Palazzo di Città lascia intendere, sarebbe insostenibile per la società palermitana condannata a guardarsi indietro, in direzione della celebre Primavera degli anni ’90, ma anche ad essere nuova.
Un anno, o poco più, a Palermo è stato decisamente migliore del decennio scorso. Ma questo a Palermo non basta e non deve bastare.