Un albero per Lea
Fare antimafia non è un merito, ma un dovere di tutti i cittadini e di tutte le istituzioni
“Pianteremo un albero per ricordare Lea Garofalo, lo pianteremo a Milano vicino all’arco della pace e lo faremo il 24 novembre, tre anni dopo la scomparsa di questa donna testimone di giustizia”.
La città di Milano glielo deve un riconoscimento a Lea che ha rotto l’omertà, che si è ribellata alle logiche familiari sperando di trovare, al di fuori, un mondo di legalità che l’avrebbe protetta.
Nonostante tutto, dopo sette lunghi anni di travagli, insicurezze, paure e nessun risultato per i suoi sforzi, aveva creduto di trovare in questa città un rifugio sicuro, un luogo diverso dalla Calabria, nel quale si sarebbe potuta confondere con la gente e nel quale sarebbe passata inosservata; invece Lea viene rapita vicino l’arco della pace il 24 novembre 2009, torturata, uccisa e sciolta nell’acido a san Fruttuoso vicino a Monza.
L’acido nella storia della mafia ha un preciso significato simbolico, l’acido cancella per sempre il corpo, annulla la persona e le leva dignità. Lea Garofalo doveva essere punita per riscattare l’onore dell’ex compagno Carlo Cosco, perchè nelle famiglie ‘ndranghetiste la donna deve servire il marito, sottostare ai suoi ordini e custodire i suoi segreti. Qual è la più grande vigliaccheria se non sciogliere una donna nell’acido per non sfigurare di fronte ai capi del narcotraffico e degli appalti edilizi?
Noi conosciamo la verità storica e riconosciamo le caratteristiche tipicamente mafiose della vicenda, tuttavia è ancora molto difficile far passare giuridicamente l’aggravante per associazione mafiosa, il 416 bis, anche a Milano. E infatti nella sentenza di condanna per omicidio e occultamento di cadavere non è presente questa aggravante, anche se si è riconosciuto il diritto del Comune di sentirsi parte lesa dalla criminalità organizzata.
Piantare un albero dedicato a Lea Garofalo non è quindi un fatto rituale, significa creare un luogo di memoria, legare per sempre il suo nome e la sua storia alla città di Milano. Restituendo a Lea giustizia e la dignità che merita si promette a tutte le donne, mogli, fidanzate, figlie di uomini di mafia che, qualora scegliessero di seguire la strada tracciata da Lea, non verrano lasciate sole.
Un albero è simbolo di rinascita e di vita; un albero avvolge il terreno con le sue radici così come una politica di legalità dovrebbe espandersi per fermare il progressivo radicamento dell’ndrangheta al nord.
Milano non deve insabbiare le ferite aperte, le deve mettere in evidenza, perchè solo così, partendo dalla disperazione e dalla rabbia di chi ha avuto il coraggio di abbandonare i privilegi e di ribellarsi, si ribadisce l’impegno per costruire una società e una cultura della solidarietà alternativa al modello culturale della mafia, dell’egoismo e dell’affarismo.
La città di Milano glielo deve quest’albero a Lea, ma lo deve ancor più a Denise, la figlia ventenne che ha testimoniato al processo permettendo la condanna dei sei assassini.
Denise ha diritto di avere un luogo dove ricordare sua mamma che non ha potuto avere né sepoltura né un degno funerale. Certo Denise per molto tempo non potrà recarsi a parlare con la madre davanti a quest’albero, perchè ancora oggi deve vivere nascosta e protetta, ma sicuramente si sentirà aiutata e abbracciata da questa città.