Tutti a scuola!
Scrivere e lavorare coi ragazzi
E’ estate inoltrata, quando in una giornata di quelle calde e appiccicose un’allegra marmaglia si riunisce. E’ la redazione catanese dei Siciliani giovani. Si devono discutere le iniziative per l’anno venturo, con molte scadenze importanti di fronte. C’è anche da pensare a come ricordare il Direttore. “Sono già passati trent’anni”.
Bisogna organizzare qualcosa di diverso, essere concreti e pratici. L’idea è di per sè ovvia, quasi scontata guardando il nome della nostra rete. Bisogna andare nelle scuole, tra i giovani.
E a scuola ci siamo andati veramente. “Chiami tu la professoressa? Io cerco di fissare un appuntamento con il dirigente scolastico. Speriamo non ci facciano troppi problemi.” “io vado al Majorana”. “Ottimo, io parlo con la mia ex prof al Boggio Lera.” “Com’è andata?” “Alla grande, i ragazzi ci sono, possiamo partire.”
Ed è così che ci troviamo catapultati tra banchi e lavagne, a raccontare chi era Fava, quale fosse il suo modello di giornalismo, cos’era Catania negli anni ’80 e cosa è diventata adesso. In quelle aule, in maniera ingenua, raccontiamo di imprenditori che vivevano in ville circondati da piccoli eserciti con mafiosi e politici a loro copertura, che ne garantivano così il successo economico.
Parliamo di una cosa, la mafia, che a quei tempi per alcuni giornali esisteva e per altri no, di una magistratura che non indagava su chi doveva indagare e che si lasciava depistare da un giornalismo di infima vigliaccheria e opportunismo.
Un drappello di giornalisti
Raccontiamo di una lotta tra quattro cavalieri e un drappello di giornalisti, dove sullo sfondo si affacciano mafiosi che non vogliono che il loro nome finisca sui giornali e politici pronti a difendere sia mafiosi sia cavalieri.
Gli occhi degli studenti si riempiono di stupore, tra letture e video interviste. Sembra proprio che per loro, seduti sulle loro sedie, sapere che la mafia non è solo il brutto ceffo con la pistola è una scoperta. Ora sanno che la mafia è anche altro. Lo sa Maria che dice di essere venuta perché le piace scrivere, lo sa Filippo che, con aria impacciata, afferma che la mafia semplicemente non gli piace.
Quello che sappiamo sui cavalieri del lavoro, Rendo, Costanzo, Finocchiaro e Graci, quello che è stato scritto sulla guerra di mafia tra i Santapaola e i Ferlito, quello spicchio insanguinato della storia di Catania e di tutto il paese, lo dobbiamo all’attività giornalistica di un gruppo di uomini e donne che prendevano il nome de I Siciliani e al loro direttore, Giuseppe Fava.
Ma se adesso grazie a quella meravigliosa esperienza di verità e di libertà abbiamo imparato a conoscere il vero funzionamento del potere, sappiamo anche che i cancri da questa terra non sono stati estirpati. Anzi, continuano ad avvelenare le trame più profonde del paese, diventando endemiche, invadendo ambiti territoriali prima inconcepibili. Dopo averlo spolpato, le mafie hanno valicati i confini del meridione, estendendosi in tutta Italia.
Gli insegnamenti di Fava ci hanno fornito degli strumenti preziosi, quanto mai attuali, per continuare a smascherare la corruzione e il malaffare, per snidare la menzogna dove si incontrano sprezzanti “qui la mafia non esiste”, così come si faceva a Catania trent’anni fa, quando chi non esisteva decidette di piantare cinque pallottole in testa a chi cercava di dimostrarne l’esistenza.
La maniera migliore di ricordare Fava
La maniera migliore (e più utile) per ricordare Giuseppe Fava è lavorare e scrivere assieme a decine di ragazzi e ragazze nelle scuole, costruendo gruppi di studio, spiegando loro quel giornalismo particolare, appassionato, profondo, del quale Fava è stato raro esempio.
Tornamo a raccontare la società dal basso, dallo sguardo di chi la vive, partendo dal particolare fino ad arrivare al generale. Forse abbiamo piantato dei semi, e speriamo che questi germoglino. Giovani menti che rifletteranno e raccoglieranno dati e informazioni. Nuove sentinelle, in una Catania così simile a quella che trent’anni fa uccise Giuseppe Fava, con lo stesso monopolio dell’informazione, con la stessa collusione tra politica e affari, sempre sull’onda di una speculazione edilizia che sembra non finire mai.