Trapani, la Gomorra di Cosa Nostra
Aerei clandestini, navi sparite chissà come, cave riempite da un giorno all’altro, voragini scomparse. E tante morti strane.
Storie di aerei che atterrano nel buio della notte in aeroporti ufficialmente non più operativi. Storie di cave riempite da un giorno all’altro, e così sparite perché di colpo colmate di rifiuti di ogni genere facendo scomparire quelle voragini nel terreno sino a poco tempo addietro ben presenti. Storie di navi inghiottite dal mare, strani affondamenti.
Storie di morte, di giornalisti morti ammazzati perché avrebbero potuto rivelare i retroscena di alcune di queste storie, di donne e uomini colpiti da cancro. Storie mai completamente scritte, rimaste vere solo a metà, la presenza di rifiuti tossici non è leggenda, tutto avvenuto quasi che in modo preordinato qualcuno abbia deciso che di tutto questo non se ne dovesse parlare più di tanto.
Benvenuti a Trapani, la “Gomorra” di Cosa nostra.
Le storie. Cominciamo dall’ultima. Castelvetrano, quartiere Belvedere, rione fatto di tantissime case popolari. Una volta qui c’erano una serie di cave dalle quali si estraeva sabbia e tufo.
Un giornalista del luogo, Egidio Morici, “armato” di video camera ha immortalato tutto quello che si nasconde nelle viscere di questo quartiere. Il video ha fatto vedere fusti di olio con intestazioni in greco, altre con scritte ammonitrici, “pericoloso contiene mercurio”, il video ciò che non ha potuto rendere a chi lo ha visto è l’odore che c’è in queste “caverne”, lo dice lo stesso Morici, un olezzo incredibile, quasi da far venire il vomito.
Tempo addietro la cosa era stata segnalata alle autorità sanitarie, ma non accadde nulla. Oggi a capo di un comitato di cittadini per nulla intenzionato a demordere c’è un sacerdote, il parroco della chiesa del rione, don Baldassare Meli uno che certo non le manda a dire. “Abbiamo rappresentato il pericolo al Comune ci hanno risposto che faranno una azione di bonifica, mi chiedo come sia possibile parlare di bonifica senza sapere che genere di rifiuti ci stanno nel sottosuolo”.
Il rione Belvedere in questo momento è oggetto di una operazione di risanamento urbanistico, fondi stanziati per 6 milioni di euro. Proprio al di sopra della incredibile discarica sotterranea si dovrebbero realizzare impianti sportivi e per la collettività, “dovremo mandare i nostri figli a giocare sopra una polveriera ambientale” lamenta un abitante del quartiere, “non se ne parla nemmeno”.
Da Castelvetrano a Marsala. Anche qui altre cave, cave naturali, anfratti che fanno parte della geomorfologia del terreno. Sopra ci sono costruzioni. Abitazioni. Qui i ragazzi vengono a giocare, nascondigli perfetti.
Qualcuno prima dei ragazzi però ha frequentato questi anfratti, e in qualcuno di questi basta affacciarsi all’entrata per avvertire un nauseabondo olezzo, qualche passo in avanti e si vedono strani fusti di colore celeste. Difficile continuare la ricerca per vedere cosa c’è dentro, la puzza è troppo forte, senza una maschera è impossibile entrare.
Qualche chilometro di distanza e ancora cave… cave dismesse di tufo. Ve ne sono a decine tra Marsala e Mazara… tante quelle dismesse… tantissime quelle “riempite”.
Attorno ancora abitazioni, case di campagna. Chi abita qui racconta di improvvise morti, di strani decessi, di persone che stavano bene fino a poche settimane prima di morire, poi l’insorgere di tumori, molti di natura linfatica, e quindi la morte.
Cosa c’è dentro queste cave? Anche in questo caso esami e ricerche non hanno dato esito.
«Da anni gli abitanti di quella fetta di territorio – dice il consigliere provinciale di Sel Ignazio Passalacqua – denunciano l’alto tasso di incidenza di tumori e l’altissima mortalità che ne deriva. Una zona in cui sono presenti falde acquifere di importanza rilevante. Per questo si è chiesto l’intervento del Consiglio nella sua interezza, dobbiamo insistere perchè magistratura e forze dell’ordine, predispongano una nuova verifica sugli indici di radioattività presenti nelle aree in questione».
Ancora storie. C’è una voce che gira e vuole restare «anonima» al porto di Trapani, «anonima» perché riferisce di vicende non tanto scomode quanto «radioattive». Questa voce racconta di una nave che vent’anni addietro arrivò qui a Trapani a caricare marmo, ma partì con la stiva in parte vuota, o almeno così pareva fosse.
Circostanza strana perché caricare una stiva di una nave in parte significa mettere a rischio la stessa capacità di galleggiamento durante la navigazione, sopratutto se si porta del marmo come succedeva in quel caso.
Quella nave partì ugualmente da Trapani «a mezzo carico», cosa che la «voce» deduce perché secondo quanto ha saputo per la quantità di marmo imbarcata solo per una parte poteva essere stata stipata la stiva.
Il racconto prosegue in modo preciso circa l’esito che ebbe quel viaggio, quella nave fuori Trapani finì col fare naufragio, e nemmeno c’era maltempo. Nessuno perse la vita, l’equipaggio riuscì a salvarsi.
In questi mesi, dopo che per una serie di indagini che si stanno svolgendo in Calabria si è tornato a parlare di navi cariche di rifiuti speciali e radioattivi fatte apposta naufragare – uno smaltimento illegale camuffato da incidenti in mare – a Trapani c’è chi si è ricordato anche di quella nave.
E’ una delle storie che i vecchi raccontano. Quello della motonave «Silenzio», 198 tonnellate, nave cargo, l’affondamento risale al 2 novembre del 1982, partita da Trapani doveva raggiungere Malta, di solito era usata per trasportare marmo, ma quando fece naufragio la stiva era vuota.
Qualche similitudine con quel che si racconta al porto di Trapani la si trova nella cronaca striminzita di questo affondamento; impossibile dire se si tratti della stessa nave.
Il naufragio della «Silenzio» avvenne ad est di Trapani su un fondale di 1250 metri. Tutti salvi i membri dell’equipaggio.
Il nome della «Silenzio» è finito nell’elenco dei naufragi italiani sospetti, ma non è il solo che riguarda da vicino le nostre coste, c’è anche il nome di un’altra nave, la «Monte Pellegrino», affondata l’8 ottobre del 1984 al largo di San Vito Lo Capo, doveva raggiungere il porto di Palermo da Porto Empedocle, nave cargo di solito impiegata per trasportare sostanze chimiche o pomice.
La «Silenzio» e la «Monte Pellegrino» avrebbero potuto trasportare altro, qualcosa da non potere e dovere dichiarare, quando fecero naufragio, e per questa ragione sono finiti tra gli affondamenti sospetti. Al largo delle coste trapanesi non sono gli unici affondamenti strani. Ce ne sono altri, rimasti denunciati e però non accertati.
A proposito infatti di smaltimento criminale di rifiuti tossici, speciali, residui di materiale radioattivo, finiti in fondo al mare con le navi che li trasportavano illegalmente, in atti giudiziari si incrociano i nomi di due navi. Una è la «River», l’altra la «Dures», affondate vicino Trapani. Naufragi mai dichiarati, «navi fantasma», che però sarebbero venute ad affondare dalle nostre parti.
Scenario di tutto questo è Trapani con le sue commistioni, i crocevia tra la mafia e i settori «deviati» dello Stato – e la massoneria – che in altre circostanze sono emersi per i loro interessi in traffici di droga e di armi. Gli stessi scenari presenti in altre indagini, come quelle calabresi.
Di traffico di scorie si sono occupati a Trapani gli stessi magistrati che hanno seguito le indagini sulla presenza di Gladio (la struttura segreta del Sismi nata in funzione di contrasto al possibile pericolo “comunista”). Scorie finite sepolte nelle nostre cave.
Pezzi dello Stato avrebbero trafficato con la mafia e con organizzazioni criminali a livello internazionale per smaltire illecitamente rifiuti tossici, in cambio di far transitare per gli stessi circuiti armi e droga. Nel caso trapanese si sarebbe trattato di un «patto» per fare continuare i traffici di droga e di armi che su quelle rotte si sviluppavano da decenni, prima ancora che arrivassero i rifiuti tossici da smaltire.
C’è un dato particolare che non va sottovalutato. Quella di una serie di rapporti che la mafia trapanese per tempo è riuscita a intavolare con soggetti del nord Africa e arabi, terminali di questi «commerci» illegali.
Contatti che secondo il pentito Nino Giuffrè, boss di Caccamo, e braccio destro prima della sua cattura del boss Bernardo Provenzano, erano nella disponibilità dei Messina Denaro di Castelvetrano, Francesco e Matteo, padre e figlio, il patriarca e il nuovo capo della mafia. Il primo morto nel ’98, l’altro latitante dal ’93.
I traffici di rifiuti speciali nel trapanese non sarebbero qui giunti solo per fermarsi dentro le cave di tufo dismesse nella zona tra Marsala e Mazara, come hanno raccontato il pentito Scavuzzo e il faccendiere Francesco Elmo; Trapani potrebbe essere stato un punto di transito, per far fare il salto verso la Somalia.
Questo traffico di scorie chimiche e radioattive si sarebbe svolto tra la metà degli anni ’80 sino al 1991/93, scorie chimiche che arrivavano trasportate da camion destinati a portare olii esausti, mentre quelle radioattive venivano trasportate su navi di diversa nazionalità.
Il pentito di Mazara del Vallo Vincenzo Sinacori ha parlato ai pm di Palermo di armi e rifiuti tossici. Era il 1985, ricorda l’ex boss di Mazara, e le armi arrivarono a Marsala.
Era l’epoca in cui tra Marsala e Mazara stavano nascosti i latitanti più importanti di Cosa nostra, come Totò Riina, erano gli anni in cui sono spariti, inghiottiti da lupare bianche, i vecchi boss trapanesi, uccisi dai corleonesi perché di loro non si fidavano abbastanza. Un traffico di armi, un altro di scorie e rifiuti tossici, fatti con la complicità di pezzi dello Stato potrebbe giustificare la necessità di essere attorniati da chi sapeva mantenere il silenzio.
Sinacori racconta del traffico di armi e ricorda che di mezzo c’era anche quello di rifiuti tossici, ma in questo caso i rifiuti non arrivavano a Trapani, ma semmai da Trapani partivano. “Erano rifiuti che provenivano dagli ospedali”. Invece di smaltirli davvero li facevano sparire.
Erano le imprese della mafia a gestire questi appalti, facevano in modo che risultassero regolari smaltimenti, ma quei rifiuti non finivano nei centri autorizzati: “Per quello che ne ho saputo questi carichi finivano in Umbria” ha detto Sinacori. Ha aggiunto di non conoscere particolari approfonditi ma di averne sentito parlare durante quelle sue “passeggiate” con don Ciccio ‘u muraturi.