giovedì, Novembre 21, 2024
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Thamaia rischia di chiudere

Il volto istituzionale della violenza sulle donne.

I ritardi nei pagamenti del Comune di Catania rischiano di chiudere il Centro Antiviolenza Thamaia. Questa volta la violenza è istituzionale. La nota del Centro Antiviolenza Thamaia a cui va la solidarietà e la sorellanza di tutta la redazione de I Siciliani.

Che fine hanno fatto i 70 mila euro che il Comune di Catania deve al Centro Antiviolenza Thamaia?

Nell’ottobre del 2016 il Distretto Socio Sanitario 16, con capofila il Comune di Catania, è stato destinatario dei finanziamenti stanziati dalla Regione Sicilia, il 40% dei quali giaceva nelle casse comunali già dal 2013, per un progetto finalizzato al contrasto e alla prevenzione della violenza di genere. E per quale ragione questi fondi speciali sono stati destinati al Distretto Socio Sanitario 16, con capofila il Comune di Catania? A causa di benemerenze particolari delle istituzioni politiche cittadine nella lotta alla violenza patriarcale? Per via del loro contributo alla creazione e alla diffusione di una cultura centrata su pratiche femministe validate dalle organizzazioni internazionali che si occupano di violenza contro le donne? Ovviamente no. Le amministrazioni che si sono avvicendate in questi anni a Catania non si sono mai fatte carico della violenza maschile contro le donne. L’unica ragione per cui il Distretto Socio Sanitario 16, con capofila il Comune di Catania, ha beneficiato di questi stanziamenti è dato dalla presenza di una rete antiviolenza costituita dal Centro Antiviolenza Thamaia insieme ad altre istituzioni territoriali.

Ma che uso è stato fatto di questo denaro pubblico? Dall’avvio del progetto a oggi, nonostante i ripetuti solleciti, il Comune di Catania ha corrisposto solo 13 mila euro per la copertura delle attività finora realizzate dal Centro Antiviolenza e regolarmente rendicontate. Il mancato utilizzo di questi fondi ne ha comportato il ritiro già nel 2017, seguito da un nuovo riaccredito nel 2019. A causa della negligenza dell’amministrazione comunale, Thamaia ha dovuto rinnovare fideiussioni per ben tre volte, riportando un danno economico di oltre 5 mila euro. Come se non bastasse, la recente revoca del fido bancario esistente impone a Thamaia un piano di rientro di 910 euro mensili, con una maxi-rata finale di 40 mila euro. Oltre a danneggiare Thamaia, la mancanza di liquidità ha danneggiato direttamente le donne seguite dal Centro Antiviolenza che non hanno potuto beneficiare di 13 borse lavoro finalizzate al reinserimento occupazionale, per un totale di 37 mila e 500 euro.  Nel frattempo, la Regione Sicilia ha comunicato che i fondi verranno nuovamente ritirati se, entro il 31 dicembre p.v., il Comune di Catania non provvederà a sbloccare i pagamenti. Non solo, quindi, l’amministrazione comunale non muove un dito di propria iniziativa contro la violenza maschile che, in media, uccide una donna ogni tre giorni: la sua inerzia sta minacciando la sopravvivenza stessa del Centro Antiviolenza.

Un attacco ai luoghi delle donne e agli spazi femministi.

In un paese in cui la spesa sociale per le vittime della violenza maschile ammonta alla ridicola cifra di meno di un euro al giorno e che, da nord a sud, vede Case delle Donne e Centri Antiviolenza esposti alla minaccia di chiusura, l’inadempienza finanziaria dell’amministrazione catanese suona come qualcosa di più di una semplice, e già di per sé gravissima, omissione di atto di ufficio. Con il ricatto economico ai danni del Centro Antiviolenza, il messaggio lanciato dal Comune è che merita di esistere solo chi abbraccia fino in fondo la logica del servizio femminile senza contropartita, solo chi è disposta ad accollarsi debiti e a rattoppare buchi creati da altri, solo chi accetta di costituirsi come soggetto di infinita pazienza.

Al disprezzo del lavoro svolto dalle operatrici di Thamaia, si somma il disimpegno verso le donne che, con il Centro Antiviolenza, rischiano di perdere un insostituibile punto di riferimento materiale e simbolico per riprendere in mano la propria vita e attivare percorsi di autodeterminazione. Quali alternative avrebbero le donne che oggi si rivolgono a Thamaia se questo presidio venisse a mancare? Colpire un’intera comunità di donne in relazione fra loro e fare cassa sulla pelle delle vittime della violenza maschile è la prova tangibile di come opera la violenza istituzionale: a parole, un gran dispiego autopromozionale di vetrine e passerelle per accreditarsi come “amici delle donne” e soggetti attivi del contrasto alla violenza maschile; nei fatti, incompetenze e trascuratezze volte a garantirsi varie forme di sottomissione femminile.

Il tempo è scaduto.

Il tempo è scaduto, la pazienza è finita. Sarà un grande giorno di festa quello in cui vedremo i dirigenti dell’amministrazione comunale costretti a vendere torte fatte con le loro mani per sovvenzionare le cariche che occupano. Nel frattempo, non saremo spettatrici inermi di uno scempio che rischia di mandare in fumo quasi venti anni di vita del Centro Antiviolenza.

Il 25 novembre, giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, la sede di Thamaia resterà chiusa. Ma non rimarremo inattive. Ci sposteremo in piazza Università per animare un presidio di protesta a cui invitiamo la cittadinanza a unirsi. Catania ha bisogno di Thamaia, Thamaia ha bisogno della solidarietà attiva della città per continuare a esistere per le donne. Non ci accontenteremo di promesse e dilazioni da parte del Comune: siamo in credito, e le esigenze delle donne non aspettano.

Le donne di Thamaia

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