“Suicidio” di mafia La strana morte di Attilio Manca
“Provenzano è stato visitato in Sicilia, a Barcellona. E proprio da Attilio Manca”. La drammatica storia di un mistero italiano che ne contiene tanti altri. Un caso ufficialmente chiuso, e molto in fretta
da Un “suicidio” di mafia
“Provenzano è stato visitato in territorio barcellonese durante la sua latitanza. A prestargli cura, dopo l’operazione di cancro alla prostata effettuato a Marsiglia, è stato proprio Attilio Manca».
A fare questa rivelazione non è un tizio qualsiasi, ma una delle personalità più autorevoli in tema di lotta alla mafia: l’on. Sonia Alfano, figlia del giornalista barcellonese ucciso da Cosa nostra, e presidente della commissione parlamentare antimafia europea. Se una notizia del genere viene svelata da una persona che in tema di lotta alla criminalità organizzata conosce molto, vuol dire che la pista di un omicidio potrebbe essere vera.
Le dichiarazioni della figlia del giornalista ucciso, tuttavia, sono accompagnate dalla testimonianza sconvolgente, resa all’autore, da un investigatore di cui – per ovvie ragioni – non vengono svelate le generalità: «Nell’ambito dell’inchiesta sulla presunta latitanza di Bernardo Provenzano a Barcellona Pozzo di Gotto», dice l’investigatore, «a un certo punto si scoprì che l’urologo aveva visitato e curato il boss nei dintorni della cittadina messinese, grazie a una struttura messa a disposizione da qualche medico locale.
Venne accertato, tra l’altro, che il dottor Manca, prelevato con un elicottero, era stato trasportato fino a Barcellona per i controlli di cui necessitava Provenzano. Dopo la morte dell’urologo, quando l’indagine stava per prendere consistenza, qualcuno, grazie all’alta posizione istituzionale che ricopriva, chiese il fascicolo sulla latitanza del boss, in relazione ai movimenti e alla morte di Attilio Manca.
Questa richiesta destò non poche perplessità all’interno dello staff investigativo del tempo. Si disse: “Qui le cose sono due, o questo signore chiede gli atti perché è deciso a fare chiarezza, oppure vuole insabbiare tutto”. Si prese un po’ di tempo. Non passarono neanche due giorni che lo stesso personaggio chiese “senza ulteriori indugi” (testuale) che gli atti gli venissero trasmessi. Cosa che fu fatta immediatamente. Subito dopo arrivò l’ordine di lasciar perdere quell’inchiesta e infatti l’inchiesta non andò avanti».
Una testimonianza che, se dovesse risultare vera, metterebbe a nudo delle circostanze gravissime perché svelerebbe un clamoroso insabbiamento sia sulla latitanza di Provenzano a Barcellona, sia sul decesso dell’urologo barcellonese.
Non sarebbe male se oggi, anche a distanza di un decennio, si accertasse l’esistenza di questo eventuale carteggio e si individuasse l’autore della presunta richiesta di atti così delicati mai venuti alla luce, ma da trasmettere immediatamente, «senza ulteriori indugi».
Oggi, anno 2014, uno spiraglio di luce sembra rischiarare questa vicenda buia. Uno dei tanti segnali lo dà un grande investigatore come Antonio Ingroia, il quale, se prima di vedere le carte sulla morte di Attilio Manca, parlava di «sciatterie giudiziarie», dopo averle lette, parla ormai, anche pubblicamente, di «insabbiamento». «È certamente un delitto di mafia», afferma l’ex allievo di Falcone e Borsellino.
Luciano Mirone, autore del primo libro-inchiesta sui giornalisti uccisi dalla mafia in Sicilia (“Gli insabbiati”, Castelvecchi 1999), è stato fra i giornalisti a denunciare il “caso Manca”. Fa parte dei “Siciliani giovani” dal 1985.