Sui tacchi dell’antimafia
Pochi lo sanno ma i riot dello Stonewall nel giugno 1969, da cui ebbe inizio la rivoluzione queer, furono pure una lotta contro la mafia.
Lo Stonewall Inn di New York era di proprietà di Tony Lauria Genovese, detto “Fat Tony”, membro di una delle più influenti e violente famiglie mafiose della grande mela. All’epoca era illegale servire alcolici alle persone omosessuali come era illegale che due persone gay ballassero insieme in pubblico. La polizia di New York faceva costantemente irruzione. Per le Istituzioni era depravazione, per la mafia un business. La famiglia mafiosa Genovese corrompeva con 1200 dollari a settimana il sesto distretto di New York, per assicurarsi la mano morbida della polizia. Nel frattempo il locale veniva gestito a basso costo, con bagni fatiscenti e traboccanti di melma, bicchieri lavati nell’acqua sporca, nessuna porta d’emergenza. In cambio di un briciolo di libertà di ballare e divertirsi. La repressione della polizia non era annullata ma controllata. Durante le serate di pienone la mafia aveva assicurato che nessuno sarebbe intervenuto, durante le serate con meno affluenza la polizia avvisava i mafiosi che sarebbero arrivati a schedare gli avventori. I clienti venivano messi in fila, costretti a mostrare il documento d’identità, chi era vestito da drag veniva fermato, alcuni venivano mandati in bagno accompagnati da un poliziotto per verificare il sesso. La mafia nel frattempo gestiva il flusso di alcool conservando le bottiglie nelle auto parcheggiate e consegnandole solo a piccolissime quantità, per evitare i sequestri. L’alcool poi veniva venduto annacquato, con rincari assurdi, e accompagnato a sigarette di contrabbando.
La comunità queer era contemporaneamente violentata dalla legge e dalla mafia. E a entrambe si ribellò durante i moti di Stonewall. “Il proibizionismo gay corrompe i poliziotti alimentando la mafia” veniva scritto sui cartelli. Le due più importanti organizzazioni queer americane del tempo, l’alleanza degli attivisti gay e il fronte di liberazione gay, si sono attivamente battute per liberare i locali gay dal controllo della criminalità organizzata.
Anni 70 a New York. Anni 80 a Catania. La provincia del delitto di Giarre, di Giorgio e Toni, ammazzati perché si amavano. La città della povertà perenne e diffusa, la città nera e bigotta, ipocrita e violenta: dove essere gay e povero spesso significava vendersi a ogni tipo di violenza. Anche Catania, più di molte altre città del sud, ha avuto il suo “riscatto” d’orgoglio, di militanza, di libertà. L’open Mind, il Pegaso, Arcigay.
Su queste orme di tacco a spillo si svolge la nuova tappa della carovana delle scarpe dell’antimafia organizzata da Siciliani giovani e Arci Sicilia, questa volta in collaborazione con l’associazione queer Open. Antimafia sociale e lotta di liberazione queer insieme, in una prospettiva comune, da Catania a Napoli, da Napoli a Palermo. Parteciperà Daniela Lourdes Falanga, presidente di Arcigay Napoli, donna trans, proveniente dalla famiglia camorrista dei Falanga, che ha avuto il coraggio di ribellarsi al dominio mafioso e patriarcale. Ora è responsabile antimafia e carceri di Arcigay. Parteciperà Daniela Tomasino, presidente Arcigay Palermo e componente del Comitato Palermo Pride. La tappa, che sarà anche una festa, attraverserà il quartiere Antico Corso a Catania sabato 13 luglio. Dopo l’assemblea si terrà un Drag Show.
Non è la prima volta che a Catania il movimento queer e il movimento antimafia si incontrano, l’alleanza ha radici antiche. Nel 1995 dalla redazione de I Siciliani veniva dato alla luce Circuto Elettrico “il giornale indipendente della comunità gay e lesbica di Catania”. Noi continuiamo.