Sugar Queen: una favola dolce, e reale
La storia di Giada Baldari, dalla mancata carriera in magistratura a pasticcera di successo, nel nuovo libro di Cristina Zagaria. Una storia per donne, ma non solo
Capita molto spesso che nei romanzi ti ritrovi a immedesimarti nei personaggi per quello che stanno vivendo, per alcuni aspetti del loro carattere, o magari semplicemente perché ti proietti nella loro storia fino a farla diventare tua. Ancor di più con una storia vera.
Cadere, rialzarsi, scontrarsi
Giada Baldari, laureata col massimo dei voti in giurisprudenza, coltiva il sogno di fare il magistrato: eppure non sempre il primo sogno che ci si prospetta nella vita è quello “giusto”. E le virgolette in questo caso stanno ad indicare una sorta di barriera tra quello che noi crediamo sia giusto e quello che effettivamente lo è. Evidentemente il sogno, per diventare tale, ha bisogno di oltrepassare alcuni ostacoli, cadere, rialzarsi, scontrarsi con il mondo esterno. Come uno scultore davanti ad un blocco di marmo: magari ha in mente una certa idea dell’opera d’arte che vuole realizzare; ma durante il percorso, si accorge che è meglio smussare, levigare, scalpellare di più o di meno. Il risultato finale è diverso, ma sempre il sogno di partenza: più vero, e quindi più giusto.
In questa storia ci sono pasta di zucchero e utensili di pasticceria: Giada è diventata una delle migliori pasticcere di Napoli, dove ha il suo laboratorio, e in tutta Italia. Comincia dal confezionare una torta di compleanno per la sua bambina, Mirea, nel piccolo appartamento dove abitano insieme a Ianù, marito e compagno di viaggio; per arrivare ad una vera e propria pasticceria professionale. Il tutto all’interno di un percorso di donna, e di madre, che non vuole rinunciare a queste due realtà fra cui si chiede sempre di scegliere, quando in realtà sono assolutamente complementari e indispensabili l’una per l’altra.
Poi arriva il secondo figlio, il piccolo Massimo: il mondo del lavoro respinge il suo essere madre quasi con cattiveria. Eccola che torna, l’esclusione: o sei madre, o sei una donna in carriera. E se provi ad essere entrambe, il senso di colpa verso te stessa o verso chi hai cresciuto nel tuo grembo diventa un pensiero costante, permanente…a volte distruttivo.
“Che mamma sono?”
“Massimo fino a tre giorni fa era dentro di me, parte di me. E ora lo lascio in una culla, mentre immergo le mani nell’impasto di uova e farina? Lo guardo e guardo le mie mani. Io amo mio figlio. Dipendo da lui. Eppure non riesco ad annullarmi per lui. Non ci riesco. Io amo. E non ho un limite. E’ questa la mia forza. Amo i miei figli e amo me stessa. E’ questo il mio essere mamma: è amore.”
Una nonna, Minù, con un passato lavorativo glorioso alle spalle, tra merletti e stoffe, e che vorrebbe la nipote proseguire con la carriera giuridica, invece di preparare i “pasticciotti”; un padre che ha dedicato la sua intera vita al giornalismo, ma che nonostante la sua posizione non si offre al gioco della raccomandazione, e dice a sua figlia che deve farcela da sola. Lo scontrarsi continuo di Giada, prima con tutti i sacrifici di anni immersa in codici e normative, poi con se stessa madre, lavoratrice, compagna. Per arrivare, immersa con le mani nell’impasto, a ricostruire tutto da capo. Ritrovando se stessa.
Bisogna perdersi per ritrovarsi. Ma senza compromessi. Per le donne, la prima azione da applicare nella vita non è rinunciare, ma amare. Amare i figli da madri, il partner da amanti. E se stesse, solo per se stesse.