martedì, Novembre 26, 2024

Storie

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I senza-voce della storia

Siamo nel tempo pasquale, momento tragico e meraviglioso per il mondo cristiano, desidero ricordare il martirio a cui sono stati sottoposti due persone meravigliose che hanno sfidato e messo in gioco la loro vita a favore degli ultimi, degli sfruttati, degli scartati del mondo. Due figure importanti tra i tanti: Mons. Oscar Arnulfo Romero (24 marzo 1980) e Marielle Franco (14 marzo 2018).

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Gli spazi della follia

Nel corso di due secoli, il manicomio civile di Aversa è stato il luogo di tutte le sperimentazioni psichiatriche, sia quelle “terapeutiche” che quelle architettoniche. Qui si sono sperimentati i letti di contenzione, l’elettrourtoterapia, il coma insulinico, l’ergoterapia, i primi neurolettici negli anni Cinquanta; qui i padiglioni – a mo’ di villaggio della follia – sono organizzati per quelle che vengono definite “omogenee classi di demenza”: agitati, sudici, semi-tranquilli.

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Quella scolaretta muta del Cile

Il sole di fine estate batte piano sulla periferia-bene di Rancagua, poco a sud di Santiago del Cile. Fra le basse villette a schiera, i condominios, e i palazzi da quattro piani ci sta il vecchio che innaffia il prato, il bar di fronte sulla strada dove si riuniscono ubriaconi e posteggiatori abusivi e più in là, dopo il semaforo, c’è un grosso centro commerciale. È un posto tranquillo a settanta chilometri dalla capitale.

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Io ero come loro

“Da piccolo un falegname qui vicino non mi voleva nella sua bottega, non mi faceva mai entrare. Se mi avesse fatto lavorare con lui forse sarebbe stato diverso, forse non avrei percorso le brutte strade che ho percorso. O forse l’avrei fatto lo stesso, ma mi ripeto che i ragazzini di oggi devono poterci entrare in falegnameria, così cerco di coinvolgerli. Magari hanno una fantasia che non sanno neanche di possedere, oggi ti mettono davanti a YouTube e non capisci più niente. Non saprai mai chi sei”.

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Una vita in bottega

“Qui accanto c’è una sede del Comune, da diciannove anni è chiusa –racconta Ciro- In questo vicolo c’erano la sede del municipio, il bar, il sarto, il tipografo, il pellettiere, il gommista, il falegname, il barbiere, il venditore di bibite, l’orefice, il salumiere, la pizzaiola e lo scatolaro. Ora non c’è più nessuno, e tra qualche mese me ne vado pure io. Non c’è più tanto lavoro, e poi tengo un’età. È arrivato il momento di chiudere”. Ciro ha iniziato a fare il calzolaio a Caserta. Nel ’50 è arrivato a Napoli. Dal ’54 si è insediato ai Quartieri Spagnoli.

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I mercati dietro la stazione

“Qui i politici vengono a fare problemi solo nei periodi di campagna elettorale, ormai ci siamo abituati, ogni cinque anni provano a sgomberarci o a farci spostare”. Mark vive da quindici anni a Napoli, viene dal Burkina Faso e per sopravvivere vende abbigliamento all’inizio di via Bologna. I palazzi che circondano piazza Garibaldi sono abitati da molti commercianti africani. “Avevo dieci anni quando ho iniziato a lavorare con mio padre e mio nonno, in una bancarella in Piazza Garibaldi” –racconta Antonio- “Nel novantanove è nato questo mercato, e dopo un anno di lotte insieme all’associazione Tre Febbraio abbiamo conquistato di nuovo uno spazio per le bancarelle a piazza Garibaldi”.

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Lotti per i poveri e prendi botte

Ci sono violenze grandi e piccole, certamente. C’è la violenza dei padroni, o degli aspiranti padroni, e c’è la violenza dei kapò, che vogliono comandare dentro il lager e impongono la loro legge a cazzotti. Non bisogna confonderle, si capisce: c’è una distanza grandissima fra i due razzismi, fra le due violenze. Ma c’è una parentela pur lontanissima, fra l’una e l’altra, sintetizzata dalle parole “Comandiamo noi”. A via Calatabiano le hanno conosciute entrambe. Combattere le più feroci è doveroso. Ma lo è anche denunciare quelle minori.

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