Storie di paura e di periferia
Paura per uno studente catanese, minacciato a colpi di pistola
Sembrava essere un normale giovedì sera , sono solo le 21:20. Nicola si sta dirigendo verso casa con la sua bicicletta , non c’è traffico e sollevato per ciò, continua lungo la sua strada. Ad un tratto nota dei motorini fare inversione e dirigersi verso di lui. Nicola prosegue pur avendo uno strano presentimento.
“In fin dei conti non è nemmeno una strada quella che percorrono, ma un vicolo cieco” .
Nicola è una matricola dell’Università di Catania , facoltà di lettere.
E’ un ragazzo tranquillo , riconoscibile per via della sua bici grigia e blu e per il caschetto che porta sempre (particolare da non sottovalutare a Catania).
Superata la viuzza che separa via “Poggio Lupo” dall’inizio del quartiere San Nullo, si vede affiancato da due motorini sopra i quali ci sono dei ragazzi, tra i sedici e i vent’anni, che lo insultano e gli urlano contro quasi divertiti . Lui intimorito e spaesato non sa bene cosa fare. I motorini si raddoppiano: ne spuntano altri due . Ma questa volta uno dei passeggeri si gira verso Nicola e tira fuori il suo asso nella manica: una pistola a salve.
“Io concludo che per me è finita” – dice – ha iniziato a sparare nella sua direzione. “E non penso ai momenti belli o brutti della mia vita, non penso alla mia famiglia o alla mia ragazza. Guardo solo in maniera decisa la faccia divertita di quella merda”. Poi “mi supera anche quest’ultimo, dopo scelgono di tornare indietro così da potersi divertire un’ultima volta sparando contro “l’idiota sulla bici” –così l’hanno soprannominato-. Come se non bastasse urlavano ancora qualcosa in un dialetto così stretto che nemmeno Nicola l’ha compreso.
A mente lucida Nicola è estremamente combattuto: “Sono amareggiato perché spesso Catania e provincia non sono un luogo sicuro. Non voglio sia resa sicura dalle minacce della polizia o dall’arma , ma da quello che qualcuno ha definito “imperativo categorico” , il senso di dovere e rispetto che ciascuno di noi dovrebbe avere”.