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Giornalisti e non
IL GIORNALISMO DI LIRIO ABBATE
L’assalto contro di lui non ha precedenti, rivela tracotanza, è necessario reagire con una catena di solidarietà e la copertura dei giornali e delle TV. È il “caso” più recente che ci muove a chiedere se il nostro sia o no un Paese in cui il giornalismo investigativo affronta rischi via via più gravi. D’altronde, in questo paese, i cronisti che subiscono minacce e intimidazioni, che vivono allo scoperto o sotto protezione, testimoniano una realtà alla quale, sempre più, non si prestano le dovute attenzioni.
L’attentato dell’11 novembre a Lirio Abbate ha raggiunto un’indicibile tracotanza, i poteri investiti dalle sue inchieste hanno reagito con una inedita spavalderia; che io ricordi non si era mai assistito al tentativo di assaltare, in corsa, l’auto di un giornalista protetto dalla polizia, a speronare la vettura con a bordo la scorta. Ciò inaugura una sprezzante modalità della violenza. E dunque occorre risponderle, a partire da una risoluta catena di solidarietà; giornali e tv, intanto, raccontino ogni volta, in dettaglio, ciò che è accaduto perché si sappia fin dove la sfida si spinge.
Non incoraggiano un giornalismo impegnato nelle sue forme più a rischio le rade, esili tracce di quest’ultima notizia, né si può dire che le attestazioni di solidarietà abbondino; è un disincanto che inquieta e non riguarda soltanto i media.
Tutti si assumono una responsabilità minimizzando, come si va dicendo, anche una “sofferenza dell’informazione”.
Non posso dimenticare quando, a Il Mattino, fui testimone dello sforzo profuso dal giornale al fine di tener vivo nell’opinione pubblica e nelle istituzioni lo sdegno per i ritardi e le reticenze, i travisamenti, l’assuefazione e infine il silenzio sull’uccisione di Giancarlo Siani, vittima, prima e dopo, del suo solitario coraggio.
Non avrebbe dovuto dirci qualcosa, da allora, il persistere e l’aggravarsi di un fenomeno su cui si sarebbe dovuto ostinatamente, e responsabilmente, indugiare?
Un segnale di disattenzione più o meno innocente, ben al di là del giornalismo, può offrire argomenti – in ogni ambito e grado della responsabilità – al pregiudizio e, infine, non di rado, alla dimenticanza; e non si può giustificare l’invito a una prudente, retorica “moderazione” con il pretesto o la discolpa o l’alibi di non inquinare il sacrosanto, arduo “bene di viver bene”. In quanto a isolare queste vicende ciascuna nel proprio “caso” si favorisce il rincaro delle provocazioni e dell’impunità.
Lirio Abbate deve sapere, e vedere, di non essere solo; e nessuno può credere che si possa uscire indenni dal ridurre il senso, e i lasciti, del suo coraggio.