Storia di Carla
di Gabriele Patti
“Speravo di ricominciare a vivere ma invece ho trovato la violenza”. La madre uccisa dall’ex marito, una condanna per concorso in rapina, un lentissimo ritorno alla vita e poi… di nuovo in tribunale come vittima di violenze. L’imputato nega, medici e carabinieri fanno rapporto.
Quarantasei anni, una vita dura alle spalle, un figlio, un mondo che sembrava di nuovo amico. Ma la speranza di Carla è durata poco. Un atto apparentemente banale – dare all’ex marito le chiavi di casa della madre – ha aperto un corridoio di orrori. L’uomo ha ucciso. A lei, per quella incauta chiave, la condanna per concorso in rapina aggravata. Così il mondo di Carla è esploso. Dopo, senza più niente, ha dovuto rivolgersi ai servizi sociali per trovare un lavoro. Una storia al confine tra sfera privata e pubblica che vede alla sbarra per violenza sessuale Antonio Pezza, marito di Maria Jose Vitale (non imputata, ndr), capo area dei servizi sociali di Mascalucia, comune in provincia di Catania. Ovvero la donna che avrebbe dovuto aiutare Carla a reintegrarsi nella società.
Scontata la pena, era riuscita a trovare un lavoro tramite i servizi sociali e i tentativi di potere finalmente riprendere in mano la sua vita parevano prendere corpo. Un raro caso in cui il sostegno pubblico sembrava funzionare. “Mi sentivo bene e credevo davvero di potere ricominciare a vivere”, racconta Carla ai Siciliani. Passano i mesi e i lavori si succedono. “Ho fatto di tutto, dalla cameriera alla commessa”, spiega Carla. “In uno di questi – prosegue – qualche giorno dopo l’affidamento ho scoperto che anche Pezza lavorava lì”. È così che la presenza del marito di Vitale si fa sempre più ingombrante. “La dottoressa mi stava aiutando e Pezza era suo marito – spiega Carla -, notavo qualche stranezza, ma ho pensato che fossero solo gentili”.
Poi qualcosa è cambiato. Dai servizi sociali fanno sapere che di lavori non se ne sarebbero trovati più. “È stata la Vitale a dirmi che ‘con il mio passato sarebbe stato complicato trovare altri impieghi’ – sostiene Carla richiamando le parole della dirigente – perché nessuno sarebbe stato disposto ad assumermi”. Circostanza, questa, che spinse Vitale a offrirle un lavoro, seppure informale, in casa propria. “Ho apprezzato il gesto perché ho pensato che volesse semplicemente aiutarmi – sottolinea Carla – ho accettato perché avevo bisogno di lavorare”. Tra quelle mura, però, finisce con il ricredersi. “Prima era una semplice sensazione poi però gli approcci sono diventati più insistenti – racconta – Pezza ha cominciato ad appostarsi sotto casa e a pedinarmi, a quel punto mi sono spaventata”. In questo momento Carla decide di rivolgersi ai militari, con uno scambio di informazioni consistito in mesi di indagini che hanno portato all’arresto in flagranza di Pezza, avvenuto a casa di Carla a dicembre del 2016 attraverso l’appostamento di un’autocivetta. A seguito dell’arresto anche la gestione del caso di Carla e del figlio non sono stati più di competenza di Vitale. Una preoccupazione in meno per Carla intimorita di potere perdere anche il ragazzo. “La Vitale mi diceva che era intenzionata a prendere lei in affidamento il bambino – ricorda Carla – E io, da madre, mi sentivo morire”.
La vicenda si è conclusa con l’arresto in flagranza e il rinvio a giudizio di Pezza. Perché, si legge nelle carte del processo, “con violenza avrebbe costretto Carla a visionare film porno e a utilizzare un manufatto in marmo di forma cilindrica per compiere atti sessuali”. Presunti abusi, questi, a cui Carla sarebbe stata sottoposta sotto la minaccia di perdere il lavoro e che sarebbero andati oltre la visione di film e l’utilizzo di oggetti. “La costringeva a compiere e subire atti sessuali consistenti in ripetuti palpeggiamenti delle parti intime nonché nel farla assistere ad atti di autoerotismo”, è l’ipotesi accusatoria smentita dall’imputato, assistito in giudizio dall’avvocato Giuseppe Lipera, in occasione del suo esame avvenuto il 7 novembre. Lipera ha richiesto il rinvio del teste e la nuova audizione di Carla a seguito dell’alternarsi dei componenti del collegio giudicante. Riservandosi di decidere sul rinnovo dell’esame di Carla, il collegio ha rigettato la richiesta di rinvio della testimonianza di Pezza e, come da programma, ha proceduto al suo esame.
Un’udienza di circa due ore in cui Pezza ha smentito – dal luogo di consumazione del reato fino alle modalità – la ricostruzione verbalizzata dei carabinieri e in larga parte, fatta eccezione per qualche “non ricordo”, riconfermata in sede processuale. E così, per Pezza, gli atti sessuali non sarebbero avvenuti sul divano del soggiorno della casa di Carla (così come attesta il verbale dei carabinieri redatto in occasione dell’arresto e le dichiarazioni in giudizio della militare appostata all’interno dell’abitazione nel corso dell’operazione) ma al primo piano, in camera da letto dove – è questa la versione dell’imputato – sarebbe stata Carla a provare a spogliarlo e non viceversa. Versione, questa, che si allontana non poco da quanto dichiarato dai militari e, al contempo, da quanto farebbe pensare il referto del Pronto soccorso in cui si certifica come, il giorno della presunta consumazione del reato, i seni di Carla fossero arrossati.