Stazione di Bologna. Trentadue anni
Crede che un periodo difficile, pieno di tensioni sociali come questo, possa ricreare le condizioni che portarono alle stragi? Oggi sarebbe possibile un nuovo 2 Agosto?
È un momento che può portare a rivivere situazioni molto tragiche. Ovviamente il quadro è molto diverso da allora, tuttavia oggi c’è un movimento tra i partiti e un rimescolamento che può scombussolare le carte, creare dei vuoti di potere a cui bisogna stare molto attenti. Inoltre oggi con la rete è molto più semplice organizzarsi.
Qual è lo scopo dell’associazione?
Avere giustizia, che per noi significa sapere la verità. Conoscere gli esecutori materiali è importante ma il cerchio si chiuderà quando e se si arriverà ai mandanti. O arrivi a svelare e punire determinate azioni in via giudiziaria, oppure sei condannato a riviverle costantemente, senza arrivare alla parola fine su questa strategia che ha frenato lo sviluppo democratico del nostro paese.
Dopo dieci anni è arrivata la sentenza definitiva della cassazione sui fatti della Diaz, che ha decapitato i vertici della polizia. È un segnale positivo? Può fare da caso apripista per avere in Italia una giustizia vera e terza?
Certo, secondo me si. È solo un fatto positivo che ci sia stato un riconoscimento delle responsabilità di alti vertici delle istituzioni. Anche qui però mancano i politici.
Crede sul serio che potrà mai venire a galla la verità sulle stragi?
Perché no? Noi ci proviamo. Ci impegneremo affinché si rendano pubblici i documenti dei tribunali e continueremo a portare avanti la nostra battaglia per l’abolizione del segreto di Stato. Sono sfide proibitive ma se non ci provi non potrai mai vincerle.
Qual è la soddisfazione più grande che le ha dato il suo impegno nell’associazione?
Vedere che l’associazione è diventata un punto di riferimento a livello internazionale, anche per studiosi esterni. A volte capita che le ambasciate che hanno visto i propri concittadini coinvolti in incidenti qui in Italia, chiamino prima noi e poi il ministero degli interni.
Questo giornale si chiama Diecieventicinque perché crediamo che il modo migliore per evitare che simili fatti si ripetano sia conservarne la memoria. Lei vede questa consapevolezza nelle nuove generazioni?
Sì, la vedo. Facciamo molta attività nelle scuole ed è bello vedere i ragazzi reagire con partecipazione alle nostre iniziative. Penso anche alle commemorazioni che ogni anno celebriamo il 2 Agosto qui a Bologna in ricordo della strage. Ogni anno di giovani ne vedo sempre di più e sempre più consapevoli. Lo considero un segnale importante: vuol dire voler esserci.