Son già passati 10 anni in cui Felicia sogna e lotta con i nostri cuori
Il 7 dicembre 2004 s’interruppe il cammino terreno di Felicia Bartolotta Impastato, la mamma di Peppino e di tante lotte che non finiranno mai.
feliciaimpastato
“La storia vera non e’ quella scritta sui libri con le penne dei potenti, ma quella che scrivono i popoli oppressi con la loro vita e la loro testimonianza”. Sono parole di Carlo Gubitosa in occasione della dipartita terrena di Dino Frisullo, compagno di mille e più lotte per la Pace, la giustizia, l’internazionalismo, con gli oppressi e gli impoveriti di ogni latitudine. E’ una profondissima lezione che porto sempre nel cuore e dalla quale mi faccio guidare quotidianamente. Una lezione della quale sarò sempre grato (così di migliaia di altre) a Carlo.
Il 7 dicembre 2004 si concludeva la storia terrena di Felicia Bartolotta Impastato. In questi giorni non ci sono state cerimonie solenni, grandi celebrazioni, speciali e maratone televisive. La piccola grande donna di Cinisi non è stata considerata interessante per la grande ribalta. Non è questa una recriminazione, anzi. Mamma Felicia è patrimonio degli ultimi, di chi lotta sui sentieri polverosi della quotidianità. Intronizzarla su laici altari, funzionali solo alla retorica del pensiero unico delle classi dominanti sarebbe un’insulto alla memoria. Si concludeva 10 anni fa la storia terrena di Mamma Felicia ma non la storia militante, la passione e la lotta. Quella storia che iniziò in quel triste e vibrante giorno di un maggio lontano. I compagni, addolorati e indignati, pronti a non arrendersi alla mafia di don Tano Seduto e ai depistaggi delle connivenze istituzionali, urlavano a ripetizione “Peppino è vivo e lotta insieme a noi”. Giovanni levò alto, deciso, convinto, il pugno chiuso al cielo. Come scrisse dieci anni fa Umberto Santino “Un filo cominciava ad intrecciarsi”. Quel filo rosso non si è più interrotto. E’ partito dalle denunce e iniziative per pretendere verità e giustizia per Peppino del Centro Siciliano di Documentazione “Peppino Impastato”, dei compagni, del fratello. E della madre.
Un gesto, un momento, mi sento di ricordare sopra qualsiasi altro. Pochi secondi che raccontano tutta una vita e danno una lezione forte e potente, uno schiaffo alle connivenze, agli sporchi interessi ai “materassi di piume” (come li definiva Dé Andre) borghesi, all’ipocrisia di chi “accetta lo stato di cose presenti” ed è complice. Era la prima udienza del processo contro Tano Seduto, presente solo in videoconferenza dagli USA. Felicia guarda verso di lui e gli punta il dito contro, davanti a tutti lo accusa di essere il mandante dell’assassinio di Peppino. Una donna dall’apparente fragilità ma in realtà di una tempra d’acciaio. Un secondo nel quale sono racchiusi anni e anni di lotte nel nome di Peppino che hanno visto Felicia in primissima fila. Una primissima fila sempre ardente di passione e indignazione, assetata di giustizia e libertà. Una primissima fila dove si sono incrociate le resistenze antimafia, anticapitalista, contro ogni oppressione e ingiustizia, i partigiani di ieri e coloro che oggi lottano per un mondo migliore. Migliaia di persone hanno incontrato Felicia, sono entrati nella casa di Peppino per conoscerne e poterne seguire il cammino.
C’è chi si schiera coi poteri forti, con i colletti bianchi e prospera nel malaffare e nell’ingiustizia. C’è chi si arrende e si accontenta, si adatta alla melma e alla montagna di merda. E c’è chi lotta, senza mai fermarsi, in una folle corsa mozzafiato ininterrotta parafrasando Dino Frisullo, senza lobotomizzarsi con l’informazione di regime o accucciandosi ai piedi dei baroni di ogni risma. E’ l’unico vero rispetto, l’unico vero ricordo che possiamo avere di Peppino e Mamma Felicia. La commemor-azione, il proseguire il cammino, il battere il nostro cuore con e per loro.