mercoledì, Novembre 27, 2024

Società

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Quale antimafia?

“Contro l’antimafia”, non può che piacere ai mafiosi, ai quali alcune forme d’antimafia hanno dato fastidio, hanno arrecato danni d’immagine, hanno fatto cambiare modi di pensare che sembravano immutabili, hanno rovinato alleanze politiche e gestione dell’economia, mai messe in discussione in passato. Certamente piacerà a tutta l’altra massa di siciliani spettatori, che, in fondo all’anima sperano che tutto si sistemi e che torni come prima, quando la mafia era onnipotente.

 

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I soldi dei mafiosi

L’emergenza abitativa a Palermo, nel 2000, raggiungeva picchi altissimi, mentre non si riusciva nemmeno a fare un elenco dettagliato dei tanti appartamenti sottratti ai mafiosi. “Quello dell’utilizzo sociale delle case confiscate alla mafia fu un percorso molto difficile ma anche esaltante. Si diede vita a un Comitato di associazioni per l’emergenza abitativa, innescando il protagonismo dei senzacasa, ma si impose anche un tavolo permanente in Prefettura. E poi cortei e assemblee nei quartieri roccaforte delle cosche in cui le persone senza un tetto innalzavano cartelli con su scritto ‘Vogliamo le case dei mafiosi’.

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Roma – L’estate degli sgomberi

“In Italia ci sentiamo in carcere. Abbiamo documenti regolari ma non possiamo andare in altri paesi”, si sentiva dal megafono durante il corteo. E, ancora, “Sui giornali insinuano che noi pagavamo un affitto per vivere in quel palazzo – ha aggiunto al megafono un altro migrante – non è vero. Nessuno ha mai pagato se non per lavori di manutenzione o pulizia della propria casa”.

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Le bugie del giornale di Ciancio

Nella realtà, Zermo fu l’ “amico” che, il giorno dopo l’assassinio, cercò di far passare Giuseppe Fava per un personaggio ambiguo e oscuro. E quello che, una volta che un mafioso sembrava disposto a raccontare qualcosa sull’agguato, lo intimidì pubblicandone nome cognome indirizzo e paternità, e inventandosi false storie per screditare la credibilità di costui.

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Case per la Camorra, non per la gente

Un giorno, per caso, passai per il Rione Traiano. Vidi questo palazzo, fuori tutto costruito, dentro completamente vuoto. Ci guardammo in faccia, eravamo in tre: ok, entriamo. Ed entrammo. Non c’era niente: né le ringhiere, né i pavimenti, niente, era stato gettato solo il cemento. Così cominciammo a costruire, trovammo nelle cantine le finestre e le montammo. Una volta dentro, la voce si sparse e cominciò a venire gente che voleva la casa da noi. Così mettemmo delle regole, cominciammo a controllare i certificati di inagibilità, dovevano entrare solo quelli che avevano perso le case col terremoto.

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La mafia minaccia chi aiuta i quartieri

Oggi, dopo tre intensi giorni di lavori di riqualifica e ristrutturazione dei locali, arrivati al Centro Sociale Liotru abbiamo trovato entrambe le porte del posto chiuse con l’attack, la corrente tagliata e l’arredamento esterno divelto. Lanciamo un’assemblea pubblica per venerdì 25 agosto, al “Liotru”, per dire a chi ci vuole indebolire che non siamo soli e che gli spazi sociali in questa città lottano e resistono.

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Minacce dei razzisti, minacce dei mafiosi…

“Orazio Vasta, sei convinto che non riusciremo a raggiungerti? Sono io quello che ti spaccherà il fegato”. Tra le minacce anche “Il comunismo internazionale non riuscirà a distruggere l’Europa bianca. A Catania, vi staneremo tutti “. Le minacce dei fasciorazzisti – che, in queste ore, hanno anche raggiunto il giornalista Andrea Palladino – non hanno intimidito il nostro compagno e tutte e tutti coloro che erano a conoscenza della situazione.

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La roba dei mafiosi

Se ci fosse una società civile – fatta da associazioni, comitati e movimenti sociali – davvero unita in quell’utopico (per certuni) fronte comune, pronto a cacciare via mafia, malapolitica e comitati d’affari collusi, tutto questo sarebbe accaduto? Un quesito che non è di oggi, ma che risale a tanti anni fa, dalla morte di Giuseppe Fava ai tanti episodi di intimidazione che tanti uomini e donne hanno subito. Chi ha una risposta a questa domanda, risponda senza retorica e carità di facciata, e soprattutto senza finta indignazione.

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Per le strade di Bologna

Giancarlo Siani, un altro “abusivo” della professione in un altro territorio di confine, quello di Torre Annunziata. Uno che diceva troppo su ciò che tutti preferivano tacere. Proponiamo la lettera che la redazione di Diecieventicinque ha pubblicato lo scorso febbraio, per continuare a fare il punto sul giornalismo etico, l’unico che vogliamo continuare a fare.

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