Società civile
A Catania, una delle città d’Italia a più alto indice di criminalità minorile, le atttività educative nei quartieri poveri sono ridottissime (ultimamente il Comune ha anche chiusto una scuola e fra i pochissimi a farle il più presente è probabilmente il Gapa.
Nell’alto milanese, una delle zone d’Italia più a rischio ‘ndrangheta in questo momento, i giornalisti che fanno informazione sulla mafia sono pochissimi e di essi i più attivi sono probabilmente quelli del settimanale Altomilanese.
Quasi contemporaneamente, un paio di settimane fa, il Gapa è stato “infastidito” a colpi di rivoltella e Altomilanese è stato messo a chiusura da un giorno all’altro dal suo editore. Coincidenza casuale, ma significativa.
Non esistono altri presidi sostituutivi, nelle due diverse funzioni, nei luoghi di cui parliamo. Senza i volontari del Gapa la cultura mafiosa non incontrerebbe più ostacoli nel vecchio centro storico di Catania, né la ìndrangheta ne incontrerebbe – senza i giornalisti di Altomilanese – a nord di Milano. Eppure gli uni e gli altri, barriera a pericoli gravissimi per le rispettive comunità, sono sostanzialmente soli.
Ecco: di questo parliamo quando parliamo di società civile. Non è solo un elegante dibattito, materia da talk-show più o meno spettacolari. E una questione di vita o di morte, in prospettiva non lontanissima, per due pezzi d’Italia – ai capi opposti della penisola – che fra dieci anni potrebbero ritrovarsi immerse nella più profonda e devastante barbarie. Da cui li separa solo l’impegno di poche decine di volontari.
Non c’è molta traccia di questo, nel panorama politico – e giornalistico – attuale. Quando c’è, si presenta di solito come materiale mediatico, oggetto d’entertainment, folklore.
Ci sono compagni nostri impegnati in entrambi i casi in questione, e perciò possiamo conoscerli abbastanza bene. Temiamo però che si tratti solo di punte d’iceberg, di isole nel mare della disinformazione nazionale. E che tutto il Paese non sia in realtà che un gran San Cristoforo, un gran Sedriano – i due luoghi esemplari di cui abbiamo parlato – in cui di fronte alla violenza e alla disinformazione pochi si oppongono e molti stanno a guardare. Quei pochi di solito sono giovani e senza risorse, e i molti hanno età, status, opportunità e potere.
La rete dei Siciliani giovani, con le sue testate di base e i suoi giornalisti militanti, è un tentativo di andare in controtendenza, di opporsi all’”autobiografia della nazione” di cui parlava un altro giovane giornalista – Gobetti – molti anni fa.
I Siciliani