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Sindaco di Giammarinaro, alla faccia dei siciliani

Lunedì 6 febbraio il sindaco Vittorio Sgarbi ha annunciato le dimissioni. Anzi: appreso dal Fatto Quotidiano.it  che gli ispettori nominati dal Viminale (e anche questa nomina “scaturiva” – sic – da una sua richiesta avanzata appena 24 ore prima dell’ufficializzazione all’allora ministro Maroni) avevano concluso l’ispezione proponendo lo scioglimento per inquinamento mafioso degli organi politici del Comune, dapprima aveva detto che la notizia non era vera, annunciando richieste di risarcimento milionarie, poi dopo qualche ora accertando che bugia non era annunciava la nomina a vice sindaco di Pino Giammarinaro, dopo qualche ora ancora l’annuncio delle dimissioni e la notizia di un incontro col ministro Cancellieri per la giornata dell’8 febbraio. A presentarlo al ministro un’altra dichiarazione dirompente: “Mi sentivo in pericolo e me ne torno al Nord. Incontrerò il ministro Cancellieri alle 9 di mercoledì prossimo per riferire il mio compiacimento per questa scelta”.

Gli ispettori, un vice prefetto, un commissario di Polizia e un tenente dei carabinieri, hanno lavorato nei termini affidati, e la conclusione è stata quella che l’amministrazione del sindaco Vittorio Sgarbi “è stata oggetto di infiltrazione mafiosa”. L’amministrazione non la città come ha voluto dire il sindaco Sgarbi. L’amministrazione e non i cittadini

Gli ispettori hanno “fotografato” la realtà che era stata descritta dall’ordinanza di sequestro di beni – oltre 35 milioni di euro – che ha colpito l’ex deputato Giammarinaro. Gli ispettori hanno certificato che Giunta e Consiglio comunale, i vertici della burocrazia, hanno subito pressioni e influenze nelle decisioni da prendere fuori da ogni contesto di democrazia e confronto, ma con un metodo tipicamente mafioso. Punto di partenza l’onorevole Giammarinaro rispetto al quale Sgarbi non ha mai rinnegato il legame.

Dopo che per l’operazione “Salus Iniqua”, Sgarbi aveva minacciato querele per il questore Esposito e per il comandante della stazione di Salemi dei carabinieri, maresciallo Teri, alla notizia del contenuto della relazione ispettiva ha preannunciato querele per i tre ispettori: «Ho lavorato come un matto, ho io contrastato gli interessi mafiosi, come nel caso delle pale eoliche e ora mi attaccano. Sa che faccio? Nomino vice sindaco Pino Giammarinaro; se accetta continuerò a fare il sindaco».

«E non è – precisa – una provocazione. Non mi sono mai accorto in tutti questi anni di infiltrazioni mafiose nel Comune di Salemi e non sono verificate in alcun atto. Non sono mai stato condizionato nella mia attività. Ero sotto scorta – aggiunge – e tutti vedevano quello che facevo. Penso che la Sicilia non abbia possibilità di fare qualcosa di nuovo, di ipotizzare un futuro diverso. Invito il consiglio comunale a dimettersi prima che i consiglieri vengano smobilitati, sarebbe una cosa non onorevole. Io ho creato il museo della mafia – prosegue – ho portato Picasso, Rubens, Caravaggio stavo portando Van Gogh e hanno trovato infiltrazioni mafiose ignari delle infiltrazioni culturali. Non ho alternative devo ringraziarli…».

Sui contatti con Giammarinaro, ha risposto risposto: «Non c’è nessun legame, semmai c’è’ stato nell’aver sostenuto la mia candidatura a primo cittadino di Salemi. È poi va sottolineato che Giammarinaro non è indagato: è un politico democristiano che si è occupato di realizzare le mie liste. Francamente non credo che questo sia un atto politicamente rilevante».  Per Sgarbi perfettamente legittimo che Giammarinaro  può avere avuto dalla sua assessori, consiglieri, funzionari e dipendenti comunali.A raccontare un’altra storia, rispetto a quella recitata da Sgarbi, è stato il famoso fotografo Olieviero Toscani, assessore nella sua Giunta. “Qui c’è mafia”, ha detto Toscani e Sgarbi gli ha dato del visionario e anche “omosessuale”.

La “tassa” per diventare deputato

La storia dello zio Calò. C’è un «filo rosso» all’interno dell’indagine che ha portato al sequestro dei beni nei confronti dell’ex parlamentare regionale Pino Giammarinaro. Ed è il filo dei collegamenti politici che comprende il retroscena dell’elezione a deputato dell’ex presidente dell’ordine dei medici Pio Lo Giudice. Questo fu convinto da Giammarinaro a candidarsi e fu alle ultime regionali l’unico parlamentare dell’Udc eletto. Già in campagna elettorale qualcosa era suonato in modo strano, in particolare gli incontri elettorali ai quali Giammarinaro era sempre presente e che concludeva con una «novella»: raccontava, parlando con Lo Giudice, della storia di un politico potente agrigentino, “u zu Calò” che un giorno notificò al parlamentare che era eletto che non lo sarebbe stato più, dandogli pubblicamente dell’«ex» quando ancora era in carica. 

Il «messaggio» a Lo Giudice insomma arrivò forte e chiaro su quello che avrebbe dovuto fare e su come sarebbe finita se avesse girato a lui le spalle. Non contento a Lo Giudice a risultato ottenuto notificò una richiesta: il pagamento di 200 mila euro per spese elettorali sostenute. Lo Giudice protestò, si rivolse al segretario del partito Romano e da questi ebbe ad apprendere che a Giammarinaro direttamente erano stati consegnati 40 mila euro di rimborso elettorale che in realtà sarebbero spettati a lui.

Ma nell’indagine c’è anche altro: la storia di un terreno confiscato al narcotrafficante mafioso di Salemi Salvatore Miceli. Confiscato da oltre 10 anni non è stato mai assegnato. Incartamento rimasto fermo al Comune e ancora di più da quando è sindaco Sgarbi. C’era un progetto per assegnarlo a Slow Food e a Libera, ma il sindaco Sgarbi è stato intercettato a parlare con un assessore vicino a Giammarinaro, l’avv. Caterina Bivona, mentre assicurava che Giammarinaro non sarebbe andato deluso, «A don Ciotti quel terreno non verrà mai dato».

Parlando con Giammarinaro, Sgarbi poi si faceva dire a chi doveva assegnarlo e Giammarinaro gli indicò l’Aias e il signor Francesco Lo Trovato. Ad oggi comunque l’assegnazione non è andata avanti e il terreno, 70 ettari, resta non produttivo. L’agenzia nazionale dei beni confiscati se lo è ripreso indietro, e Sgarbi ha presentato la circostanza come una vittoria e non una sconfitta. E il mafioso, arrestato in Venezuela dai carabinieri e ora in carcere, se la ride.

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