Senza Parole
Probabilmente abbiamo già scritto tutto. E forse potrebbe sembrare estenuante seguitare a rivolgersi ai “massimi rappresentanti” delle istituzioni per continuare ad appellarsi su questioni ovvie. Ma, si sa, nell’essere umano la rassegnazione rappresenta l’ultima spiaggia. E forse è a questa che non si vuole arrivare. La nuova bocciatura del Csm nei confronti della candidatura del pm Nino Di Matteo alla Direzione Nazionale Antimafia si commenta da sola. Rabbia, amarezza e disillusione sono solo alcuni dei sentimenti che albergano nei cittadini onesti che vedevano nella nomina di Di Matteo una risposta chiara dello Stato nei confronti del magistrato più esposto d’Italia. Più volte abbiamo definito la stragrande maggioranza dei componenti del Csm “sepolcri imbiancati” veicolati da logiche politiche lontane anni luce dai principi di giustizia. Recentemente ci siamo rivolti al neo Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, per chiedere di vigilare sull’Organo di autogoverno delle toghe, presieduto da lui stesso, auspicando un segnale di vicinanza verso chi è stato condannato a morte da Cosa Nostra. Che altro dovremmo aggiungere? Che con questa decisione si dimostra plasticamente che lo Stato non vuole essere vicino a Nino Di Matteo? Che in questo modo lo si espone ulteriormente al rischio di un attentato?
“Si muore quando si è lasciati soli”, diceva Giovanni Falcone, e quella solitudine non veniva dalla società civile, ma dalle istituzioni. E tra provvedimenti disciplinari aperti, l’emissione di circolari particolari e mancate nomine in questi anni il Consiglio superiore della magistratura si è dato un gran da fare, così come accadeva ai tempi di Falcone e Borsellino. Poco importa se appena l’anno scorso, in poco più di venti giorni, sono state raccolte oltre 91.000 firme per chiedere al Csm di nominare Procuratore Aggiunto di Palermo lo stesso Di Matteo. Nel frattempo l’allarme attorno al magistrato si è fatto sempre più alto e alla presenza a Palermo di oltre centocinquanta chili di tritolo, così come raccontato dal pentito Vito Galatolo, si aggiunge il rischio di un attentato per mezzo di un fucile di precisione. Un elemento che non può essere affatto trascurato. E se con quella petizione, promossa da Salvatore Borsellino e dalla nostra redazione, si chiedeva di dare un segnale a sostegno delle indagini condotte dal magistrato e dal pool che indaga sulla trattativa Stato-mafia, stavolta il segnale sarebbe stato ancora più forte. Una manifestazione concreta di vicinanza da parte dello Stato nei confronti di chi ha subìto una condanna a morte da Totò Riina e da quei “sistemi criminali” che attendono solo il momento migliore per realizzare quella sentenza. Non smetteremo mai di chiedere l’intervento dei vertici istituzionali per salvare la vita del magistrato. Di fronte al silenzio più assordante che giunge dalle “massime autorità” ognuno di noi ha l’obbligo morale di opporvisi testimoniando lo scempio che sta avvenendo con la complicità di buona parte della “casta” della magistratura, della politica e dell’informazione. A futura memoria.