“Se non scende l’ultimo, noi non ce ne andiamo”
di Adriana Sicilia, foto di Ciccio Mannino
È il 7 Novembre, nulla ancora sembra essere cambiato dal sabato appena trascorso al porto di Catania: le navi Humanity1 di SOS Humanity e la Geo Barents di Medici senza frontiere sono bloccate al porto; 200 vite umane sono rimaste nella Geo Barents e all’incirca altre 35 nella nave Humanity1, esseri umani che da ben quattro giorni attendono di essere accolti, riconosciuti come tali.
Mentre al porto di Catania continua il presidio di cittadini e cittadine, delle reti studentesche e delle associazioni, al Palazzetto dello Sport Luciano Abramo si trovano 357 migranti che stanno svolgendo le procedure di identificazione prima di essere indirizzati nei vari centri di accoglienza.
Tra i “fortunati” sono presenti molti uomini, nuclei familiari interi e circa 50 minori, “stanno tutti bene”; sui meno “fortunati”, quello che si dice è che “a meno che i medici non attestino un’urgenza sanitaria, nessun altro potrà scendere dalle navi”.
Al porto c’è sgomento, rabbia, commozione, c’è una parte di questa città che non si arrende alla svalutazione dei corpi, all’oblio a cui da giorni vogliono condannare chi non ha avuto il privilegio di esser nato con dei privilegi; è forse questa la pena da scontare?
Nel primo pomeriggio i partecipanti al presidio si sono riuniti in un’assemblea, davanti alle navi ferme “organizziamoci, manteniamo questo presidio finché non saranno scesi tutti e fin quando queste navi non saranno tornate nel Mediterraneo a salvare altre vite umane”. A megafono aperto si invita alla presenza perenne: “se avete una riunione fatela qui al presidio, se dovete studiare, se dovete lavorare, venite a farlo qui al porto, riuniamoci per convertire la nostra rabbia in un’azione che unisca tutti e tutte”. Dal ponte della nave arrivano grida e proteste: “quello che stiamo sentendo sono le urla di esseri umani che scappano dalla fame e dalla povertà e noi siamo costretti a sentire dai nostri politicanti che scappare dalla fame e dalla povertà non è un buon motivo per scappare”. Chi interviene ricorda ai presenti: “chi si trova oggi dentro queste navi non è diversa e diverso dai nostri fratelli e dalle nostre sorelle che scelgono di spostarsi nel resto d’Italia e nel resto d’Europa alla ricerca di lavoro, queste persone dopo aver superato una camminata devastante ed aver attraversato il Mediterraneo arrivano qui e convivono con la paura di essere rimandati indietro. In loro ritrovo gli stessi occhi delle sorelle e dei fratelli che scappano dalla Sicilia, spostarsi liberamente alla ricerca di un futuro migliore dovrebbe essere un diritto di tutti”.
Fra i cori e gli striscioni il presidio continua, diversi sono gli appuntamenti che le attivisti e gli attivisti, le studentesse e gli studenti si sono dati per la settimana in corso; “se non scende l’ultimo, noi non ce ne andiamo”.
Nel tardo pomeriggio di giorno 8 Novembre arriva la notizia: tutti potranno scendere dalle navi; si tratta di una gioia per ora soltanto a metà, i migranti sono stati fatti sbarcare perché una perizia sanitaria li ha dichiarati soggetti fragili; tra l’entusiasmo dei presenti c’è anche l’amarezza di chi dice “non si può sperare ogni volta che solo il riconoscimento medico di una determinata condizione possa costituire il diritto d’accesso e di accoglienza, oscurando ogni questione etica e umanitaria”.
Nel frattempo arriva il bus con i migranti finalmente a bordo, arrivano calorosi i saluti delle cittadine e dei cittadini ai nuovi arrivati.
Alle 23:50 l’ultimo naufrago lascia il porto, l’ultima attivista va a dormire, c’è una nuova speranza.
Sono scesi tutti.