Scandalo Saguto: fu l’inchiesta di Telejato a dare avvio alle indagini
Le indagini di Caltanissetta su uno dei più grandi scandali giudiziari dell’ultimo secolo presero origine dall’inchiesta giornalista di Pino Maniaci. È quanto emerge dalle motivazioni della sentenza della Corte d’Appello di Caltanissetta.
Le indagini sullo scandalo Saguto ebbero origine dall’inchiesta giornalistica di Telejato. Se finora era cosa risaputa – anche se non ammessa da qualcuno dei “piani alti”, come dice Pino Maniaci – adesso sono i giudici della Corte d’Appello di Caltanissetta a scriverlo nero su bianco nelle motivazioni della sentenza che lo scorso luglio ha visto l’ex presidente delle misure di prevenzione del tribunale di Palermo, Silvana Saguto, condannata a otto anni e dieci mesi di reclusione – quattro mesi in più rispetto al verdetto di primo grado – per corruzione, concussione e altri reati.
Nelle 1.214 pagine di motivazioni della sentenza d’Appello si legge che l’ex giudice era “spinta da uno spasmodico desiderio di assicurare un tenore di vita elevato a sé e alla sua famiglia”. Ma come ebbe inizio la vicenda? Nelle prime righe del documento i magistrati ricordano la puntata andata in onda nella trasmissione televisiva “Le Iene” il 14 maggio 2015 dove, in sostanza, venivano riportate le denunce di Telejato e veniva quindi descritto il sistema delle misure di prevenzione, segnalando al tempo stesso “una concentrazione di incarichi di amministratore giudiziario affidati all’avvocato Gaetano Cappellano Seminara”. Quella puntata spinse il procuratore generale della Corte di Cassazione a chiedere informazioni al neo presidente della Corte d’Appello, Gioacchino Natoli, anche col supporto del presidente del tribunale di Palermo, Salvatore Di Vitale, che a sua volta aveva quindi chiesto spiegazioni alla Saguto.
A tale richiesta, i magistrati della sezione, tra cui oltre alla ex presidente anche Fabio Licata, Lorenzo Chiaramonte e Claudia Rosini, avevano risposto con una nota nella quale denunciavano l’esistenza, fin dal 2013, di una campagna stampa definita denigratoria “avviata da Pino Maniaci, direttore della testata giornalistica Telejato, nell’ambito della quale veniva descritta una gestione superficiale ed illecita dei beni sottoposti a sequestro di prevenzione da parte di pochi amministratori giudiziari con la compiacenza dei magistrati della sezione”. E ancora: “Il serrato attacco giornalistico di Pino Maniaci – secondo i giudici della sezione – aveva in particolare a oggetto Gaetano Cappellano Seminara, indicato quale soggetto titolare di un numero spropositato di incarichi, che riceveva consistenti liquidazioni in cambio di favori alla presidente Saguto e ai suoi familiari”.
Nella nota, i giudici delle misure di prevenzione avevano preso atto del fatto che la tesi di Maniaci era stata ripresa anche da “Le Iene” e dal giornale “Il Fatto Quotidiano”, e provavano a replicare sostenendo che i numeri erano diversi. Ma a fare ulteriore chiarezza fu la giudice Rosini, non coinvolta personalmente nelle indagini: sentita come teste, riuscì a descrivere dall’interno tutto il contesto, confermando che gli attacchi di Pino Maniaci andavano avanti da due anni e avevano messo in apprensione i giudici della sezione, tanto da spingere la stessa Rosini a chiedere un trasferimento.
Dall’attività giornalistica di Pino Maniaci e dei collaboratori di Telejato mosse dunque i primi passi l’inchiesta di Caltanissetta sfociata poi nel processo, giunto al secondo grado di giudizio.