Satripan cadupàn saleim
Si svegliò nel cuore della notte, l’anziano pensionato
Si svegliò nel cuore della notte, l’anziano pensionato, inquieto come s’era addormentato. Era sdraiato sul divano, davanti al televisore ancora acceso ma ormai muto. Per qualche momento si sentì smarrito: perché non era nel suo letto?
Ma poi, a poco a poco, i ricordi affiorarono: la sera prima, il suo desiderio di cambiamento, di ribellione, che l’aveva spinto a raggiungere quella vecchia sezione di partito vicino casa. Salvo scoprire che, nel frattempo, era diventata ben altro. Segni dei tempi, era finita l’epoca dei partiti di massa, era iniziata quella dei contatti personali, ancorché non sempre intimi.
E quindi doveva cambiare tattica e strategia e la mattina dopo, di buon’ora, avrebbe iniziato la sua personale opera di mobilitazione.
Rinfrancato, quando ormai albeggiava, guadagnò il letto, accompagnato da un “finalmente” della curiosa vicina che quasi stava cedendo al sonno.
“Bisogna ricominciare dai bar”, si ripromise: aveva individuato in quei centri spontanei di aggregazione il luogo privilegiato per ripartire, per coagulare un movimento. E l’illuminismo, poi, non era forse nato nei Caffè?
Uscì in strada e, faticosamente si recò in un quartiere piuttosto distante. Lì arrivato vide un bar alquanto affollato e, quindi, promettente.
Il suo programma consisteva nell’ordinare un normale caffè al banco, aprire casualmente il giornale testé acquistato e lasciar cadere un qualunque commento su una qualche misura governativa.
“Forse parla in santrito”
Da quello, immaginava, si sarebbe innescata un’accesa discussione. Una fiammella sulla benzina. Ordinò il caffè con gesto sicuro, aprì quindi il giornale e, battendo le nocche sulla foto di un qualsivoglia ricco professionista, temporaneamente ministro “Pape satan, pape satan aleppe” si trovò a commentare.
«Come, scusi?» chiese il barista.
«Satripan cadupan saleim» proseguì l’anziano pensionato…
«Non capisco.».
E quindi chiarì meglio il concetto, e aggiunse una pertinente citazione letteraria, «Rin manavé bilian sutù».
Seduti al tavolino, quattro studenti, in adorazione dell’ultimo Iphone, addirittura distolsero per un attimo gli occhi dal loro idolo.
«Ma che lingua parla, quello?». «Mai sentita». «Secondo me è una lingua antica.». «Come il latino?». «Peggio, una cosa tipo santrito».
«E perché quello parla così?». «Sarà un vecchio professore fuori di testa», e scrollando le spalle, ritornarono ai pii esercizi di devozione.
Il pensionato, convinto non solo di parlar chiaro, ma anche di esprimere opinioni non certo banali, vedendo scorrere su uno schermo appollaiato in alto, a fianco del bancone, le immagini di ministri, politici e aspiranti salvatori della Patria, talvolta un po’ buffi e comici, si profuse in una lunga e acuta analisi che avrebbe messo in guardia chiunque dal soffermarsi su particolari di poco conto (oserei dire sovrastrutturali) come piccole ruberie o scandali, per concentrarsi, invece, sulle ben più pregnanti dinamiche sociali ed economiche del sistema occidentale e che concluse con «Rotales minca, toride gelu». Si guardò quindi attorno soddisfatto, certo di aver suscitato unanime e interessato consenso.
Il silenzio regnò sovrano, seppur perplesso.
Solo dopo un po’ fu rotto dal barista che, aprendogli i palmi delle mani davanti agli occhi (uno col pollice ripiegato) «Sono novanta centesimi. Novanta. Anderstend? Nainti.».