Quell’Italia nascosta che ammazzò Spampinato
Neofascisti, mafiosi e notabili cittadini. E, sullo sfondo, un apparato golpista bene inserito nello Stato. Su tutto ciò indagava Giovanni Spampinato, cronista senza paura
Quando Giovanni Spampinato è stato ucciso a Ragusa, aveva venticinque anni.
Il 27 ottobre 1972 Rosario Campria, principale indiziato del delitto Tumino e Giovanni Spampinato, cronista ragusano de L’Ora di Palermo, avevano appuntamento. Campria voleva incontrare chi, unico tra i giornalisti locali, lo aveva accusato di essere tra i responsabili dell’omicidio di Angelo Tumino, costruttore, trafficante di reperti archeologici ed ex consigliere comunale del Movimento Sociale.
Campria, figlio del presidente del tribunale della città, era un appassionato d’armi, che abitualmente frequentava neofascisti e anche Angelo Tumino, il quale venne ucciso in una contrada il 25 febbraio. Aveva un alibi fornito dal genero nonostante, durante la notte dell’assassinio, fosse andato a casa di Tumino, portando via dei documenti. La magistratura iblea rispettò il cognome del sospettato ed ebbe riguardi più che particolari.
Golpisti e boss mafiosi
Giovanni Spampinato non ebbe invece alcun timore reverenziale – proprio di molti cronisti locali – nel raccontare la vicenda. Superando le versioni ufficiose ed omertose divulgate, si convinse che Campria fosse coinvolto nell’omicidio, che la Procura di Ragusa non stesse indagando con il necessario rigore, per tutelare il figlio del suo autorevole rappresentante, e che l’indagine dovesse essere trasferita.
Con occhio lucido, ricostruì un articolato mosaico che lasciava intravedere un oscuro disegno: dietro l’omicidio Tumino, probabilmente, stavano correnti della destra eversiva, che in quegli anni erano al centro di trame golpiste e che stringevano una fitta rete di relazioni con Cosa Nostra.
Raccoglieva informazioni sui contatti tra Campria e Stefano Delle Chiaie, fondatore di Avanguardia Nazionale e collaboratore del principe Borghese. Aveva raccontato della provincia ragusana come rifugio dorato per latitanti fascisti, di campi d’addestramento paramilitare nelle campagne e di sbarchi clandestini di armi.
Lo scrisse nei suoi articoli, che lasciarono indifferenti gli abulici concittadini.
Un intreccio eversivo
Quella sera la Cinquecento di Spampinato, su cui viaggiava anche Campria, era alla ricerca di un bar ancora aperto. Quando questa rallentò nel traffico la sua corsa, di fronte all’ingresso del carcere di Ragusa, Campria esplose sei colpi a bruciapelo da una delle due pistole che aveva con se, scese dall’auto e andò a costituirsi immediatamente attraversando la strada. Il giornalista morì pochi minuti dopo, mentre alcuni automobilisti cercarono di portarlo in ospedale.
L’assassinio di Giovanni Spampinato fu una cinica operazione per mettere a tacere chi voleva raccontare il complicato intreccio di relazioni tra le forze criminali di Cosa Nostra e le organizzazioni eversive fasciste che puntavano al colpo di stato. L’isola però quella notte perdeva un brillante e coraggioso narratore di verità occulte.