sabato, Novembre 23, 2024
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“Quel giorno che occupammo…”

Catania, l’adolescenza senza casa. La storia di Federica

“Il giorno che siamo andati ad occupare ho avuto paura per la mia famiglia, ma non avevamo scelta.” così racconta Federica, diciassette anni “Per diverso tempo ho vissuto con i miei genitori in una casa, dietro alla playa, che in realtà era un pollaio. Una stanza con bagno, cucina e letto. Era terribile stare lì, l’acqua che avevamo era sporca, perché era acqua di mare. Per bere dovevamo fare lunghi viaggi ogni due giorni. Quando pioveva l’acqua entrava dal tetto e dalle fessure: si allagava la casa. Ma c’erano anche topi, scarafaggi e rane che entravano continuamente”.

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“Prima i miei genitori avevano vissuto per tre anni sulla strada tra la playa e l’aeroporto, in una tenda anche nei periodi più freddi. Cercando di trovare almeno un pasto al giorno, fino a quando mio padre stanco di vedere mia madre soffrire, chiese a un uomo che conosceva se gli potesse affittare una stanza a cento euro. Ma quell’uomo rispose che minimo le affittava a duecentocinquanta euro, e che al massimo ci poteva concedere un vecchio pollaio da restaurare. Accettarono. Arrivati lì, oltre a pagare l’affitto, ci vollero altri soldi per rendere il pollaio abitabile. Inoltre mio padre veniva sempre chiamato per lavorare gratis ogni giorno dal padrone del pollaio. Mio padre non poteva dire niente, mai, perché se lo faceva rischiava di perdere tutto. Io all’inizio non ero con loro, ma in un secondo momento fui obbligata ad andarci. I primi tempi accettai la situazione, perché capivo le condizioni di vita che avevamo… Spesso io e mia madre andavamo a informarci per le case popolari perché erano tre anni che aspettavamo e nonostante eravamo in lista d’emergenza ogni volta la risposta era sempre la stessa: Siete in graduatoria, ancora dovete aspettare!. Non c’erano mai altre risposte. La rabbia cominciava a salire. Stavamo in condizioni che neanche per gli animali erano accettabili. Mamma, proviamo a cercare altre soluzioni! le dissi un giorno”.
I tentativi di Federica e della madre furono inutili: non trovavano case a poco prezzo, neanche stanze. Stavano perdendo ogni speranza. “Un giorno mentre andavamo alla Caritas, mio padre trova un volantino di un centro sociale che offriva aiuto a chi aveva bisogno di una casa, o stava rischiando lo sfratto. Uno sportello per la casa. Li chiamiamo subito, fissiamo un incontro. Mia madre decise che ci sarebbe andata solo lei con mio padre e che io sarei stata a casa, non si sapeva mai. Dopo diversi incontri, un giorno i miei genitori mi dicono che insieme ad altre famiglie avevano deciso di occupare una palazzina”. Federica non conosceva nessuna delle altre famiglie. C’erano anche bambini. Poi tante domande che andavano e venivano senza mai fermarsi. “Quando siamo arrivati di fronte alla palazzina che doveva essere la nostra nuova casa, provammo ebrezza, tensione e paura, tutto insieme. Non sapevamo come sarebbe finita, ma c’era un motivo per essere lì: volevamo essere aiutati. Qualcuno si sarebbe accorto di noi?”.
Federica e gli altri hanno aperto la porta, sono corsi in fila indiana dentro il palazzo, richiudendosi in fretta la porta alle spalle. Gli uomini intanto sbarravano tutte le vie d’accesso, mentre le donne e i bambini salivano al primo piano per vedere in che condizioni era il palazzo. “Era rimasto chiuso per tanto tempo, e c’era tantissima sporcizia ma era in buone condizioni. Avevamo un tetto finalmente. La prima notte nessuno riuscì a chiudere occhio, nonostante la stanchezza dopo una giornata tra giornalisti, Digos, pulizie e cose da fare in fretta. Ma nei giorni seguenti la situazione si stabilizzò, anche se era difficile lo stesso stare là dentro. Ognuno aveva le proprie abitudini, il suo carattere. Ancora più difficile fu rapportarsi con gli altri fuori dal palazzo, perché non avevamo neanche acqua e luce. Ogni giorno dovevamo andare a prendere l’acqua prima che si facesse buio. Era stancante perché anche lavare i piatti diventava una cosa difficile. Io dentro a quel palazzo occupato ci sono rimasta un anno” Federica fa un lungo sospiro “ma lì ci sono ancora oggi famiglie con bambini”.

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