martedì, Dicembre 3, 2024
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Processo Pino Maniaci

Il brigadiere: “Maniaci? Sempre coerente, lottava per una causa giusta”.

“Dopo l’operazione Kelevra, si è creato una sorta di vuoto attorno a Telejato“. Sono le parole di Salvo Vitale, storico collaboratore di Peppino Impastato e cofondatore dell’emittente Radio Aut, chiamato a testimoniare al processo contro Pino Maniaci, durante l’udienza che si è tenuta ieri presso il Tribunale di Palermo. Interrogato dai legali della difesa, Bartolomeo Parrino e Antonio Ingroia, Vitale ha raccontato di come dopo le accuse mosse contro il giornalista sia calato il sipario sull’emittente televisiva.

Pino Maniaci – foto di Danilo Daquino

“Prima la televisione era un punto di incontro per le scolaresche dei territori vicini, i ragazzi venivano a fare degli stage di giornalismo, Maniaci metteva loro in mano la telecamera e gli insegnava cosa fosse il mestiere sul campo. Ma dopo è sparito tutto – ammette – è rimasta solo la conduzione famigliare e qualche sporadico collaboratore». Tra i quali anche lui, che collabora con Telejato da sempre: ha conosciuto Pino Maniaci nel duemila, quando aveva rilevato da poco la televisione – che si faceva già notare per i servizi scomodi sulle cosche mafiose – e da allora non lo ha più lasciato solo, nemmeno quando è scoppiato il suo caso processuale.

“Nel tempo non ho mai avuto impressioni di morbidezza, conoscendo il tipo, e se avessi avuto sospetti di cambi di linea o di acquiescenza credo che avrei cambiato emittente, a me risulta che Pino Maniaci e Telejato siano stati sempre coerenti”.

Docente di storia e filosofia in pensione, Salvo Vitale è uno dei giornalisti di punta dell’emittente, dove da sempre si occupa di beni sequestrati insieme a Pino Maniaci: è grazie a Telejato che è nato l’ormai noto caso Saguto, di cui si è tornato a parlare in questi giorni grazie ai servizi di Matteo Viviani, mandati in onda su Le Iene, con le intercettazioni della ex giudice, la quale non perdeva occasione di parlare male di Maniaci al telefono con i suoi amici, assicurando di come “quello stronzo di Telejato” avesse le ore contate, riferendosi all’inchiesta della Procura.

In aula è stato sentito anche il brigadiere Nicola Liberto, che sin dal suo arrivo a Partinico, nel 2008, si è occupato della tutela del giornalista, seguendolo nei suoi spostamenti. Anche le sue parole non lasciano spazio a dubbi: “Era tutto alla luce del sole – rivela -, mai visto prendere soldi di nascosto o sotto forma di mazzette, io queste cose non le ho mai viste altrimenti le avrei subito dichiarate al mio superiore. Io gli stavo sempre appresso, scendevo dalla macchina e stavo sempre vicino a lui: dovevo per forza, questa è la tutela. Io lo vedevo che lottava per una causa giusta”, ha detto. Il militare ha raccontato anche le diverse intimidazioni mafiose subite da Maniaci ma sotto la lente di ingrandimento è stata passata in particolare l’uccisione dei due cani del giornalista, Billy e Cherie. Erano le ore 16.00 del 3 dicembre 2014, e le due mascotte della redazione erano state ritrovate impiccate nei pressi della sede di contrada Turrisi. “La femmina era attaccata nella parte superiore del palo con del filo zincato, il maschio era attaccato un poco più su dal collo sempre al palo con lo stesso filo, e poi con un filo di antenna erano tenuti sollevati, erano stati appesi dopo essere stati uccisi – ha ricostruito – a terra c’erano un rastrello, una scopa e un bastone di gomma lungo un paio di metri, e la ciotola piena di pasta portata il giorno prima da una delle sue figlie”. La testimonianza viene arricchita da un particolare: il carabiniere subito dopo il ritrovamento, ha tempestivamente avvisato la centrale operativa ma sul posto non è arrivato nessuno. Così Maniaci è andato in caserma a fare denuncia. Chi avrebbe dovuto fare chiarezza e indagare su quel macabro omicidio, insomma, sembra non abbia ritenuto opportuno intervenire sul posto per acquisire eventuali prove, che magari avrebbero potuto incastrare il responsabile.

Liberti fa il punto anche sugli attimi successivi al 4 maggio 2016, il giorno dell’operazione Kelevra: “Si vociferava che io ero stato intercettato, che io facevo parte di questa operazione. A giugno l’allora capitano De Chirico mi ha notificato un inizio di procedimento disciplinare – continua- perché ero stato intercettato mentre parlavo con Maniaci mentre gli riferivo delle notizie ma non erano vere e proprie informazioni, per dire: succedeva magari un incidente stradale e lui subito mi chiamava e mi chiedeva se c’erano feriti e altro, e io magari gli dicevo ‘sì, tre feriti’ oppure ‘sì, uno gravissimo in prognosi riservata’, ma non era vero, era solo per zittirlo. Parliamo di intercettazioni che sono state al vaglio della Procura, ma che non le ha trovate rilevanti dal punto di vista penale. Lo stesso provvedimento è stato notificato a tanti altri colleghi del nucleo radiomobile. Tutto concluso con un richiamo e un rimprovero”, ha aggiunto il brigadiere, che tre mesi fa ha chiesto il trasferimento a Carini.

La prossima udienza si terrà il 28 gennaio 2020, quando verranno ascoltati altri teste della difesa. Tra le persone ammesse a testimoniare, spiccano in particolare Silvana Saguto, Cappellano Seminara, ritenuto il re degli amministratori giudiziari e il tenente colonnello della Guardia di finanza Rosolino Nasca.

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