Processo Minotauro
Che il 22 novembre andasse in scena una “pagina di storia” lo si capisce dai volti dei ragazzi che siedono sugli spalti della maxi aula 1 del Tribunale Bruno Caccia di Torino. La definiscono proprio così, “una pagina di storia”, la sentenza del processo Minotauro sulla ‘Ndrangheta in Piemonte. Hanno vent’anni, molti sono iscritti a Libera, tra di loro c’è pure don Luigi Ciotti e, seduti affianco ai familiari degli imputati, non si perdono una parola del giudice Paola Trovati, che legge il dispositivo: 36 condanne, quasi tutte per associazione a delinquere di stampo mafioso, 39 assoluzioni.
C’è un nome eccellente tra i condannati: Nevio Coral, ex sindaco di Leinì, comune di circa 15mila abitanti alle porte di Torino, sciolto per mafia nel 2012. Per lui 10 anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa. Luna Marchisio, 24 anni, studentessa di Comunicazioni interculturali a Torino, vive proprio nel paese amministrato in passato da Coral: “Non so come prenderanno i miei concittadini questa decisione. Non posso dire di essere contenta, però si deve prendere atto che qualcosa che non andava ci fosse. E questo lo avevano capito tutti molto prima che arrivasse la magistratura. Ma in tanti hanno fatto finta di niente”.
Tra gli imputati c’era pure Antonino Battaglia, ex segretario generale di Rivarolo (sciolto per mafia sempre nel 2012) accusato di voto di scambio politico-mafioso: per lui è stata derubricata l’aggravante mafiosa in scambio semplice (2 anni). Tanto per restare a Rivarolo, risulta interessante la posizione dell’eurodeputato del PdL Fabrizio Bertot, ex sindaco del comune piemontese, per il quale è stata disposta la trasmissione degli atti in procura, affinché si indaghi per voto di scambio.
La pena più severa è per Vincenzo Argirò (21 anni e sei mesi), considerato uno dei capi del “Crimine” di Torino, il braccio armato dell’organizzazione. Quattordici anni di reclusione per Salvatore De Masi, secondo la procura capo della “locale” di Rivoli e in contatto con numerosi personaggi del mondo politico. Lo stesso uomo che, secondo l’accusa, aveva espresso in passato il desiderio di distaccarsi dall’organizzazione, salvo poi rientrare nel 2008, mentre la “locale” di Rivoli era stato chiusa. De Masi, infatti, aveva chiesto pure l’immediata riapertura della “locale”, chiedendo di essere nominato responsabile. Una cosa, però, che non gli fu permessa, poiché a ribellarsi furono i fratelli Crea, capi del Crimine di Torino, i quali non volevano essere tagliati fuori solo perché dietro le sbarre (sono stati condannati con rito abbreviato).
Dalle indagini, iniziate nel 2006, era emersa una mappa dell’illegalità fino ad allora sconosciuta. Una mappa che ha tra le sue tappe fondamentali la notte tra il 7 e l’8 giugno 2011, in cui furono arrestate 146 persone. Gli inquirenti hanno così tracciato i fili che collegano omicidi, estorsioni, traffici di droga, appalti truccati e, soprattutto, l’influenza delle “locali” – cellule criminali che operano sul territorio – nella politica. 35 beni confiscati soltanto nella città di Torino, tra questi l Bar Italia, ritrovo degli ‘ndranghetisti oggi gestito dai ragazzi di Libera.
I pm avevano chiesto 733 anni di carcere, ma le condanne sono state molto inferiori alle attese dell’accusa. La lettura del dispositivo dura quasi un’ora, quando il Collegio si congeda i pm Gian Carlo Caselli e Sandro Ausiello rispondono alle domande con un laconico “il Tribunale ha fatto il proprio lavoro. Aspettiamo le motivazioni per commentare”.