Prefetto del popolo
Sodano non ha perso, ha vinto. Abbiamo vinto. Sodano non è morto, è vivo. E noi dobbiamo saper restare vivi con lui, col suo ricordo
La prima telefonata è come un colpo di frusta che ti coglie in un momento spensierato, con le tue figlie. “Rino, il prefetto Sodano non c’è più”.
Sapevi che un giorno o l’altro qualcuno te lo avrebbe detto. E ti ripeti dentro di quante volte ti eri ripromesso di andare a Palermo a trovarlo. Porti dentro l’amaro di una incomprensione che si era creata perché non erano state spese le giuste parole. Ma poi ti riprendi e ricordi l’ultima chiacchierata telefonica con la moglie, la signora Maria. Non c’erano state incomprensioni. Non ce ne potevano essere tra noi. Le altre telefonate tocca farle a te.
Poche parole per chiudere il telefono e dar possibilità di far scendere qualche lacrima, intima, personale. Fulvio Sodano a 67 anni ha posto fine alla sua sofferenza fisica, con tanti condivideva quella morale. Fulvio Sodano ci ha però lasciato il dovere di continuare, lui che da anni era immobile, inchiodato alla sua poltrona che lo ha stretto fino a stamattina, ci ha dimostrato a noi che stiamo bene, che non abbiamo malanni, che possiamo camminare, scrivere, parlare…urlare, che per combattere le mafie non c’è bisogno di avere l’uso degli arti, della parola, ma l’uso della mente, dell’intelligenza, la vivacità degli occhi, il ricordo. “Ascolta la pianta dei tuoi piedi che calpestano la terra…” (Gandhi) ecco quello che nel nome di Sodano oggi ci resta da…continuare a fare. Calpestare questa terra percorrendola in ogni dove e raccontare quello di bello e di brutto che vediamo.
“Ha continuato a lottare”
Sodano questo ha fatto. Fin quanto ha potuto ha calpestato la terra sulla quale ha vissuto, ha saputo continuare a farlo anche quando è rimasto schiacciato su quella poltrona, ha continuato a vedere e a farci vedere la bellezza di questi nostri luoghi e ha scelto di non fermarsi mai dal ripulirla di quello che di sporco c’era, anche dentro quei palazzi dove dovrebbero abitare la fedeltà e il rispetto verso le Istituzioni.
Non dobbiamo fare altro che questo e ci accorgeremo che Sodano non è mai morto, è vivo. Vivo nei nostri ricordi, nelle nostre azioni. Ad accompagnarci ci saranno le molecole di Fulvio Sodano che restano eterne: mi piace dire così come diceva Margherita Hack…”quelle, le molecole, restano eterne e andranno a comporre altri oggetti…altri corpi”. Uomo di Stato fino alla fine. Nonostante tutto. Come lo disegnò benissimo Vauro resta testimone di come lo Stato ingiusto sa far piangere i propri uomini migliori.
Quel pianto dinanzi alle telecamere di Anno Zero nell’ottobre del 2006, non era solo Suo, era anche nostro. Fu anche nostro. Muovendo le mani che gli servivano a scrivere le risposte alle domande di Stefano Maria Bianchi, raccontò quello che gli era accaduto facendo il prefetto a Trapani, sfidando i mafiosi, il boss Matteo Messina Denaro, evitando che Costa nostra continuasse a detenere i beni confiscati, che la mafia riuscisse nell’intento di riprendersi la Calcestruzzi Ericina, un impianto che oggi vive nel nome di Sodano, col cuore e l’impegno degli operai che hanno costituito una cooperativa trasformando quell’impresa in qualcosa di unico, eccezionale, e non solo perché hanno saputo riconvertirla, ma perché la Calcestruzzi Ericina Libera è stato il primo dei beni confiscati a tornare sul mercato.
Chiama Giacomo Messina, il presidente della cooperativa. Anche lui poche parole, poche frasi. Sodano era stato il loro nuovo padre, i mafiosi li volevano disoccupati, Sodano ridiede a loro lavoro e speranza. E divenne anche lui operaio onorario della Calcestruzzi Ericina Libera.
Quello che è accaduto è storia. I mafiosi intercettati che parlavano di lui facendo grande offesa, che auspicavano che se ne andasse via da Trapani, l’ex sottosegretario all’Interno che con un pretesto (la mancata visita del presidente Ciampi alle sue saline) lo richiamava e poi si sarebbe adoperato per farlo trasferire da Trapani, Sodano già ammalato si ritrovò nell’estate del 2003 prefetto ad Agrigento, poco tempo dopo costretto dalla malattia a lasciare ogni incarico.
D’Alì per quella intervista fece causa civile contro Sodano e il giornalista che realizzò il servizio. Perse la causa. Un altro giudice però non fu altrettanto attento con Sodano. Non lo ammise come parte civile al processo penale contro l’ex sottosegretario accusato di concorso esterno. E dove i pm sostenevano che il trasferimento di Sodano spinto dalla mafia, sarebbe stato chiesto da D’Alì mentre era al Viminale. Deve essere il ministero a costituirsi non la persona.
“La gente vede e capisce…”
Paradossale: a costituirsi parte civile avrebbe dovuto essere quel ministero dell’Interno che probabilmente ha saputo nascondere le ragioni dell’improvviso trasferimento da Trapani ad Agrigento del prefetto Sodano. L’ultima intervista che gli feci ha lasciato parole scolpite nella mia mente, “la gente vede e capisce…e capisce che le cose possono cambiare, che il vento sta cambiando”.
L’ultima telefonata che ricevo mentre finisco di scrivere è quella di un ex mafioso, un imprenditore che domenica ha finito di scontare la sua pena, che è tornato in carcere ed ha accettato di tornare in carcere anche dopo avere raccontato ai magistrati tutto quello che sapeva sulla mafia trapanese, anche sul trasferimento di Fulvio Sodano. Domani sul giornale ci sarà anche il suo necrologio.
Sodano non ha perso, ha vinto. Abbiamo vinto. Sodano non è morto, è vivo. E noi dobbiamo saper restare vivi con lui, col suo ricordo. Ciao mio Grande Prefetto!
Caro Direttore Riccardo Orioles,
Cara Redazione tutta de ” I Siciliani giovani”,
E così il Prefetto della Repubblica di Trapani, Dottor. Fulvio Sodano, Funzionario elettivo alle dipendenze del Ministro dell’Interno, stava impedendo alla mafia del luogo, quella che fà capo al Superlatitante Matteo Messina Denaro, di impossessarsi della Società Calcestruzzi Ericina Libera attraverso l’azione di sequestro di beni. Una Società che una volta fallita sarebbe transitata nelle mani della mafia trapanese.
Ed un trasferimento avvenuto per mano dei rappresentanti dello Stato, che oltre ad essere collusi con la mafia la assecondano e la sostengono, fortificandone il tessuto organizzativo.
Mi duole, a tal proposito, Ricordare la vicenda del Prefetto della Repubblica di Palermo, Carlo Alberto Dalla Chiesa, che morì nei Suoi primi cento giorni di attività presso la Prefettura, in cui investì la propria caratura umana e professionale manifestata durante la carriera di Ufficiale all’interno dell’Arma dei Carabinieri.
Purtroppo le due vicende dimostrano quanto la volontà della politica nazionale sia contraddittoria rispetto ai principi iniziali per cui si devolve l’incarico: il Prefetto Sodano e Dalla Chiesa hanno semplicemente condiviso un’accettazione di responsabilità credendo che dall’alto dello Stato ci fosse la stessa condivisione.
Ma quando determinati interessi iniziano ad essere contrastanti, quella stessa politica che gli ha scelti torna sui suoi passi, lasciandoli in balia di sè stessi.
Io stesso credo nei grandissimi ideali di questi uomini morti per il bene della collettività, gli stessi per uno Stato – dico Stato – che invece sono rappresentati da politici che lo servono senza determinare un senso compiuto alle loro parole.
Grazie!…
Caro Direttore Riccardo Orioles,
Cara Redazione tutta de ” I Siciliani giovani”,
Anche perché credo, che sia il Prefetto della Repubblica di Palermo Carlo Alberto Dalla Chiesa, sia il Prefetto della Repubblica di Trapani Fulvio Sodano, non siano tanto da considerare degli eroi, quanto piuttosto degli uomini che hanno avuto il coraggio e la determinazione di dimostrare a tutti gli italiani di aver adempiuto ad un volere dello Stato con – e non la presunzione – l’assoluta semplicità, e dunque, con la netta certezza che le rispettive qualità individuali potessero, con la partecipazione corale dello Stato, perché ad Essi si è rivolto raggiungere quegli obiettivi che dovrebbero determinare il successo nella lotta alle mafie.
Grazie, Generale Dalla Chiesa!…
Grazie, Prefetto Sodano!…
Capitano Ultimo.
30/12/2014
Massimo Gramellini da ” Buongiorno” de “La Stampa”,
“Scrivo queste righe per tacitare la parte di me stesso che considera il comandante del traghetto in fiamme Argilio Giacomazzi un eroe. Nel leggere le parole che egli ha pronunciato al culmine della tragedia («Non sto molto bene, ma sarò l’ultimo a mettere i piedi fuori di qui») ci siamo commossi un po’ tutti. E la commozione ha ceduto il passo all’ammirazione quando, facendo seguire i gesti alle parole, il comandante ha abbandonato la nave soltanto dopo avere coordinato i soccorsi. Eppure non ha fatto nulla di straordinario. Come nulla di straordinario fanno i funzionari pubblici che rifiutano una mazzetta e in genere le tantissime persone che compiono ogni giorno il proprio dovere senza lasciarsi peggiorare dall’abitudine e dalla paura.
L’avere trasformato la normalità in comportamento eroico è il frutto di una società dello spettacolo che si nutre di cattivi esempi, e se talvolta ne sbandiera di buoni non è per slancio etico ma per la necessità di variare la trama. Depurata dall’enfasi retorica, la condotta coerente di Giacomazzi nell’emergenza è un inno al lavoro ben fatto. Chi ha una responsabilità non scappa. Non si tratta di una scelta epica, ma di una prassi umana che l’esistenza di tanti capitan Tremarella, non soltanto a bordo della Concordia, ha ammantato di una vena simbolica sproporzionata alle circostanze. Gli eroi sono coloro che fanno qualcosa che non sarebbero tenuti a fare. Mentre il comandante che comanda fa esattamente ciò per cui è stato scelto. Non è dunque un eroe, ma qualcuno di più socialmente utile perché più facilmente imitabile. Un uomo.”
Grazie!…