Povero Salvo
La solitudine di un Sindaco “scarso”.
“La maggior parte dei gabbiani non si danno la pena di apprendere, del volo, altro che le nozioni elementari: gli basta arrivare dalla costa a dov’è il cibo e poi tornare a casa. Per la maggior parte dei gabbiani, volare non conta, conta mangiare. A quel gabbiano lì, invece, non importava tanto procurarsi il cibo, quanto volare. Più d’ogni altra cosa al mondo, a Jonathan Livingston piaceva librarsi nel cielo. Ma a sue spese scoprì che, a pensarla in quel modo, non è facile poi trovare amici, fra gli altri uccelli”. Si parte da qui, dal libro più celebre di Richard Bach, dalle gesta del gabbiano Jonathan Livingston: simbolo dell’estrema destra italiana, tanto da accompagnare la propaganda e la collera dopo l’uccisione dei due militanti neofascisti in via Acca Larentia a Roma. Un grande gabbiano bianco è stato disegnato dai fascisti per le strade, sui manifesti, negli striscioni.
Quando Salvo Pogliese decise di abbandonare la militanza fascista di gioventù per arruolarsi nella destra liberale e berlusconiana, (erano gli stessi giorni nei quali Gianfranco Fini indossò la kippah e ripudiò il fascismo) si portò dietro la curva dello stadio del Catania, la dote finanziaria di famiglia, il gabbiano di Richard Bach e il sogno di diventare prima o poi Sindaco della città. Sui suoi manifesti elettorali e su quelli dei suoi fedelissimi candidati appariva sempre un gabbiano stilizzato. Serviva a far intendere che quel candidato era cosa sua, serviva a non rompere il legame con una storia che seppur annacquata non voleva essere irrimediabilmente tradita.
Ha fatto carriera Salvo Pogliese, rampollo di un impero finanziario costruito attorno alla carriera di commercialista del padre. Giovanissimo consigliere comunale, assessore alla provincia, deputato regionale e deputato europeo. Il 10 giugno del 2018 è stato eletto Sindaco di Catania a coronamento del sogno di gioventù. “Cercherò di portare in Municipio la voglia di libertà e di volare alto come il gabbiano Jonathan Livingston” ha detto durante il discorso di insediamento.
Ma fare il Sindaco è cosa complicata. Mai Pogliese si era ritrovato al massimo vertice di un’amministrazione pubblica. Seppur autorevole è stato sempre gregario, colonnello, mai generale. Qualcuno aveva sempre garantito per lui, la responsabilità massima era sempre addosso a qualcun altro e mai qualcuno aveva potuto attribuirgli fallimenti. D’altronde l’obiettivo di farsi eleggere durante una competizione elettorale non l’ha mai disatteso.
L’elezione a Sindaco di Catania doveva essere la grande scommessa. Persa dopo soli sei mesi. Ci ha provato Pogliese a vincere, pensando che la cosa più utile a lui da Sindaco fosse costruire una connessione sentimentale col popolo catanese. A differenza del suo predecessore, Enzo Bianco, che si rintanò nel palazzo subito dopo l’elezione, Pogliese ha deciso di stare in strada, tra la gente e presenziare a tutti i consigli comunali. Armato di sorriso ha incontrato tutti, dato ascolto a tutti e per tutti è stato “Salvo”: quello incontrato allo stadio, beccato a passeggio in piazza Duomo, alla villa con la sua famiglia. Quando sono iniziati i festeggiamenti per la festa di Sant’Agata non si è fatto immortalare in alta uniforme accanto all’arcivescovo ma in mezzo ai devoti a tentare di accollarsi il peso di una candelora. Tuttavia non è bastato.
Suo compito non era più quello di fare incetta di voti e simpatie ma amministrare la città. Quando in estate è giunta la dichiarazione di dissesto ed è arrivato in città l’ambasciatore del ministro dell’Interno, il sottosegretario Stefano Candiani, il Sindaco non è riuscito a estorcergli nemmeno qualche euro di elemosina. Quando è arrivato il vicepresidente del Consiglio Luigi Di Maio non ha ricevuto altro che spallucce. L’accorato appello scritto al Governo perché salvasse la città di Catania è rimasto senza alcuna risposta. La dichiarazione di dissesto ha terrorizzato i cittadini che senza mezze parole hanno iniziato a definire il Sindaco “buono, ma scarso”.
È stato in quel momento che “Salvo” ha capito di essere per la prima volta capo e di essere solo. Troppo moderato per arruolarsi nella volgare e cattiva armata leghista, troppo di destra per inseguire le spregiudicate manovre centriste di Micciché e di una parte di Forza Italia siciliana. L’unico importante amico rimastogli, Antonio Tajani, Presidente del Parlamento europeo, è troppo indaffarato a sopravvivere politicamente per consegnargli altro che la sua amicizia e qualche passerella a Catania.
Così gli aumenti delle tasse, gli aumenti delle tariffe, il rigore finanziario del dissesto sono rimasti sulle sue sole spalle. Persino i suoi consiglieri comunali lo hanno abbandonato, comprendendone la debolezza. A tal punto da bocciare in aula le delibere confezionate dal suo vicesindaco, l’Assessore Roberto Bonaccorsi, tramutato in spietato esattore. Pogliese non può garantire posti in parlamento, carriere politiche, incarichi di sotto governo e i suoi fedelissimi si sono tramutati in pochissimo tempo in mercenari, pronti a sostenere la sua causa solo a pagamento: per un posto in Giunta, un incarico in una partecipata, un posto di lavoro nell’appalto della spazzatura.
Qualche giorno fa in piazza Carlo Alberto, alla fiera di Catania, uno stormo di gabbiani, come ogni giorno, si è accanito sui resti lasciati a terra dai pescivendoli. Un gabbiano solitario che volava più in alto degli altri è rimasto con la zampa incastrata ad un lampione della luce. Sono dovuti intervenire i vigili del fuoco per salvarlo.