Politica e giustizia
Ci risiamo. Varie Procure, facendo il loro dovere, scoprono scandali su scandali. Uno più grave dell’altro. Ma qualcuno, oscenamente, recupera stanchi ritornelli. E li ri-suona sperando che qualche testa permeabile se ne lasci ancora incantare. Dischi rotti che insultano i magistrati, accusandoli di fare politica con le loro “manone” giacobine e con interventi immancabilmente definiti ad orologeria. Un grande complotto giudiziario, in sostanza.
Tesi all’evidenza senza pudore, sorretta unicamente dal disperato tentativo di sbianchettare le pesanti responsabilità penali, finanziarie, politiche e morali che emergono dalle inchieste. La realtà è ben diversa. L’intervento giudiziario è in crescita esponenziale in tutti i sistemi democratici. Ovunque esso occupa le prime pagine e spesso turba equilibri e destini politici. La sua stessa diffusione ne segnala la dimensione oggettiva, escludendo che vi siano – almeno di regola – forzature soggettive.
Ciò vale anche per il nostro Paese, nel quale anzi i processi di Tangentopoli (ieri ed oggi) pongono addirittura il problema drammatico se la corruzione costituisca un dato marginale , seppure esteso, della nostra democrazia o non piuttosto un suo elemento strutturale (in altre parole, se si tratti di corruzione “del” o “nel” sistema).
A questo punto, inevitabile è la domanda: è cosa buona e accettabile che l’indipendenza della giurisdizione possa provocare tutti questi sconquassi?; – oppure bisogna trovare qualche coordinamento con la politica?
Sostengono la seconda posizione coloro (e non son pochi) che strillano che non vi è sentenza che possa valere più del voto di milioni di italiani. Ma la confusione dei piani è evidente. Il primato della politica, nel senso che il governo della società e il motore del “vivere giusto” possono stare soltanto in azioni politiche e non in provvedimenti giudiziari, è un fatto incontestabile. Com’è incontestabile che la giurisdizione non è in grado – per natura – di risolvere stabilmente le patologie del sistema, ma solo di riconoscere e contribuire a rimuovere le ingiustizie ed illegalità in atto.
Senonché il primato della politica non è assoluto. In tutte le democrazie moderne la sovranità si esercita (deve esercitarsi!) nelle forme e nei limiti previsti dalla Costituzione. E’ il sistema del bilanciamento dei poteri (“checks and balances”) che presidia l’ indipendenza della magistratura, senza di che (Toqueville lo insegnava un paio di secoli fa) la “tirannide della maggioranza” è sempre in agguato.
Dunque, mai fidarsi di quei sedicenti statisti che sproloquiano di magistrati animati da proterva volontà invasiva. Perché sono gli stessi che da una ventina d’anni non fanno un bel niente per ridurre la debolezza dei controlli (sia amministrativi sia della stampa, senza più condizionata da forti interessi) e per ridurre l’anomalia tutta italiana di una concentrazione di potere (economico, mediatico e politico) che non ha eguali nelle democrazie occidentali. Mentre proprio in questi fenomeni affonda le radici l’ingiustamente vituperata espansione del giudiziario.