Pino, Giovanni, Antonio: tre storie esemplari
Prima dell’internet ma soprattutto dopo, in Italia s’è formata tutta un’area di giornalisti professionisti (di solito, ma non necessariamente, iscritti anche all’albo ufficiale) che costituiscono ormai buona parte delle fonti d’informazione sugli argomenti “difficili”.
Più liberi e più aggressivi delle grandi testate, hanno ormai consolidato un’esperienza di cui è difficile fare a meno. Siti, giornali local, piccole televisioni, libri: private a immaginare questo paese senza questo reticolato d’informazione di questo tipo. Sul versante della lotta alle mafie, in particolare, si può dire che i colleghi dipendenti dalle testate “ufficiali” sono ormai (con tutto il rispetto per i singoli) una minoranza rispetto ai nostri. E spesso, quando vogliono trattare un argomento che la proprietà non ama, si rivolgono ai blog o ad altri contenitori “non ufficiali”.
Una volta, negli anni ’50 e ’60, questa rete alternativa esisteva pure, e si aggregava attorno alle (poche) testate e alle molte realtà locali dell’opposizione (specialmente comunista), che allora era vivace e “alternativa”. Spampinato e Di Mauro del “L’Ora” ne sono un esempio, da ma un certo punto in poi – in coincidenza con la seconda generazione del movimento antimafia – la tendenza fu quelal di farsi direttamente propri giornali: Giuseppe Fava ne è l’esempio maggiore. Non casualmente: in Sicilia, la regione più di frontiera in questo campo, contò en otto giornalisti uccisi, ma solo un editore (la situazione non è cambiata) sostanzialmente monopolista su tutta l’informazione.
La terza generazione, di giornalisti “non ufficiali” (ma, ripetiamo, non meno attendibili degli altri ed anzi, liberi da tutele, un po’ di più) coincise con l’avvento dell’internet, e più in generale di un diverso approccio alle tecnologie.
I giornalisti capirono che un’emittente libera, un sistema di fotocomposizione, e più avanti tutto l’enorme continente nuovo della Rete, consentivano di bypassare più facilmente il sistema mediatico dei monopoli, inventandosi media nuovi e portando il giornalismo libero su di essi. In questo senso, i precursori sono Peppino Impastato e, anche qui, Giuseppe Fava.
E siamo nei giorni nostri, quelli che stiamo vivendo. Il giornalista libero quasi sempre è un precario, è piuttosto evoluto con le tecnologie, è buon cronista di strada, attento ai particolari, ha una visione del background lucida e non occasionale. E’ il giornalista tipico, oramai; essendo, i colleghi più “fortunati” (o meno: dipende dai punti di vista) dotati di busta-paga regolare una specie ormai evidentemente in via d’estinzione. Non è lontano il momento in cui il giornalismo “normale” (depurato dalle sue varianti di infotainment, sostanzialmente parassitarie) sarà esattamente questo.
Giovanni Tizian, Pino Maniaci e Antonio Mazzeo – i colleghi di cui ci occupiamo in questa nota: ma ce ne sono molti altri come loro – sono un esempio tipico di tutto questo.
Tizian è giovane, è sostanzialmente precario, collabora con testate “importanti” ma il suo impegno prioritario è in un soggetto di base (sociale e mediatico, molto articolato) come DaSud. Maniaci, il più anziano dei tre, è un cronista classico che però, anziché sulla carta stampata, si basa – come Impastato – sull’emittenza locale. Mazzeo è uno specialista di argomenti specifici (territorio, antimafia, tematiche della pace) in cui ha raggiunto una certa autorevolezza e lavora essenzialmente sul web, con puntate sugli instant-book.
Per tutti e tre, vuoi per la crescita delle rispettive tecnologie vuoi per il parallelo impoverimento della concorrenza ufficiale, le prospettive professionali Nessuno dei tre gode di stipendio regolare, e anzi la condizione esistenziale di ciascuno di loro, sotto questo profilo, non è facile. Ma crescono sempre di più come opinion makers, e in America gran parte dell’informazione di massa è fatta ormai da gente come loro.
Sia Maniaci che Mazzeo, e ora anche Tizian, sono oggetto di attacco senza remore da parte del Sistema. Maniaci è stato minacciato più volte, e ora lo è anche Tizian. Mazzeo, pochi giorni fa, è stato oggetto di un’iniziativa – per quanto mi risulta – senza precedenti, e cioè di una vera e propria iniziativa politica (sotto forma di interrogazione parlamentare) contro di lui, operata da un uomo politico – il senatore Nania – che si è sentito toccato dalle sue inchieste.
Adesso, la situazione è la seguente: Tizian è sotto scorta e – a parte gli amici di daSud e dei gruppi collegati, fra cui il nostro – rischia fra qualche mese di restare solo. Essendo stato minacciato in Emilia, e cioè in una regione civile (ma dovrebbe far riflettere il fatto che le minacce mafiose ormai arrivino anche lì) ha potuto contare sulla pronta mobilitazione di una serie di soggetti civili (Libera, Fnsi, Ossigeno ecc.) che là sono forti, e si sono mossi presto e bene. Ma dopo? E soprattutto, riuscirà a sopravvivere come giornalista (e cioè possibilmente non precario) senza dover diventare un personaggio mediatico o un tuttologo, sostanzialmente ininfluente?
Maniaci fra pochi mesi non avrà più una televisione, grazie a una calibratissima leggina, si direbbe tagliata su sua misura, che gli toglie le frequenze alle tv minori. Una legge fatta, ovviamente, da Berlusconi; ma che il nuovo governo finora s’è guardato bene dall’abolire.
Per Mazzeo, infine, le prospettive sono forse le più oscure. In una zona (quella di Barcellona in Sicilia, su cui anche in questo numero abbiamo inchieste sue e di Luciano Mirone) dominatissima dalla mafia, istituzionalmente gestita su basi massoniche, con pochissimi soggetti di società civile fra cui l’Associazione Rita Atria, aggredita da Nania contemporaneamente a lui – in un posto del genere, che probabilità ha Mazzeo di poter continuare a esercitare i suoi doveri di giornalista-cittadino?
Tutte queste domande sono ovviamente rivolte – come si suol dire – alle Istituzioni, specie a quelle più nuove e più brillanti quindi di perbenismo, oppure ai Colleghi Importanti , quelli cui ahimè si rivolgono i perseguitati più ingenui. Ma sono rivolte soprattutto a me stesso, a te che leggi, a tutti noi che facciamo e leggiamo questo giornale libero, e gli altri giornali e siti come questo.
Ad aiutare i giornalisti veri (Giovanni, Pino, Antonio e tutti gli altri) sarà solo la Rete. La rete nel senso di internet, che ormai dappertutto è il mezzo dove la gente arriva e di cui si fida, la rete nel senso di collegamento fra tutti noi – Antonio, Giovanni, Pino, Gian Carlo, Nando, Michela, Morgana, Norma… – che abbiamo interesse nella libertà di sapere e che ci divertiamo, pure, in questo bellissimo e umano, gioco.
E’ debole chi – secondo lui – imbavaglia e minaccia, e siamo fortissimi noi tutti che rappresentiamo l’avvenire e che siamo capaci di descrivere il mondo, di raccontare la vita di noi esseri umani. Rozzo mafioso o potente politico, ci fa solo sorridere di compatimento e di pietà.
Organizziamoci, allora, portiamo la professionalità di ciascuno in un meccanismo comune, quello che stiamo costruendo, senza grandi parole, in questi mesi. Loro sono il medioevo fanatico, noi siamo Gutenberg e Martin Lutero. Loro minacciano e ringhiano, noi sorridendo insieme costruiamo.