Peppa la cannoniera
Prima antiborbonica, poi antiproletaria…
Molti conoscono Giuseppa Bolognara, detta Peppa la cannoniera, per il coraggio dimostrato nelle giornate della liberazione di Catania dalle truppe borboniche, pochi, forse, sanno cosa accadde appena pochi giorni dopo dalle parti di Biancavilla ed Adrano e tutto ciò che le capitò di fare e di vivere nei mesi e negli anni della sua vita.
Con i patrioti
Non era bella, le fattezze erano piuttosto mascoline e aveva il viso butterato dal vaiolo; era così Giuseppa Bolognara, nata a Barcellona Pozzo di Gotto, ma catanese di adozione per avere legato la sua esistenza alla storia della città etnea.
Garibaldi era arrivato in Sicilia da una ventina di giorni e la Sicilia era un unico, totale fermento: gli insorti volevano a cacciare i borbonici da Catania e non contava niente se ancora erano pochi e male organizzati perché era l’aria che si respirava che moltiplicava le forze e preparava la vittoria.
Era questa l’aria che respirò Peppa quando a piazza Ogninella, il 31 maggio 1860, sparò una cannonata sulle truppe del generale Clary e quando riuscì ad impadronirsi di un cannone che i borbonici in fuga avevano lasciato sulla via.
Peppa lanciò sul cannone una fune, proprio come fanno i cow boy per catturare “al lazo” i cavalli, lo tirò a sé restando al riparo dal fuoco nemico, lo sistemò e lo puntò contro i soldati.
Li attirò con uno strattagemma: sparse sul cannone della polvere e simulò un colpo fallito, a quel punto i nemici si lanciarono per riconquistare il “pezzo”, ma questa volta Peppa diede il giusto fuoco alle polveri causando gravi perdite.
Contro i contadini
Da Catania a Biancavilla ci sono pochi chilometri, eppure bastano per collocare Peppa in una nuova dimensione.
In questa sede bisogna spiegare ciò che lei stessa in quei giorni non riuscì a cogliere e cioè che la presenza garibaldina in Sicilia poteva essere e non fu un’autentica lotta di liberazione; certo lo fu “politicamente” perché i Borbone furono cacciati, ma non lo fu né socialmente, né economicamente.
Così i contadini rimasero senza le terre demaniali, mentre borghesi e aristocratici riuscirono addirittura a portare i garibaldini sulle loro posizioni e mantenere, quindi, i loro privilegi di classe dirigente.
Peppa non capì nulla e si trovò, a Biancavilla, ad inseguire, catturare e portare davanti al plotone d’esecuzione quei patrioti che erano stati con lei a Catania appena pochi giorni prima a cacciare i borbonici dalla città.
Furono catturati e fucilati, il 18 giugno, l’artigiano Furnari, detto Legno Torto e altri otto patrioti tra cui una donna, Vincenza Vicceri che si era particolarmente distinta nella lotta di classe contro i proprietari terrieri.
Nella guardia nazionale
La contraddizione si consumò in modo completo e definitivo quando Peppa entrò nella Guardia nazionale, quando si prestò alla dirigenza aristocratico-borghese contro poveri e morti di fame: a Catania, dalle parti del collegio Cutelli, riuscì a scovare sotto un tavolo in una bottega di sartoria un malavitoso, accusato sommariamente di omicidio. Lo immobilizzò e lo fece legare e lo consegnò al plotone di esecuzione per la fucilazione.
Si guadagnò, così, la riconoscenza della guardia nazionale e del Governo che la ricompensò con un mensile di 19 ducati, poi trasformato in una “una tantum” di 216 ducati e fu anche decorata con la medaglia d’argento al valor militare.
Come si sa la storia non è soltanto conoscenza dei fatti, ma anche memoria , giudizio e comparazione delle situazioni, dei problemi ed anche delle storie personali. E allora, solo per una riflessione, va detto che altre patriote e ribelli non ricevettero alcuna ricompensa.
Peppa, comunque, non ebbe neppure la sorte di una vecchiaia serena: fino al 1876 restò a Catania, la si vedeva per le osterie vestita da uomo a bere e a fumare, poi tornò a Messina e cadde nella rete degli usurai a causa dei frequenti prestiti per sostenere le sempre più pesanti spese mediche. Fu ospite, accolta gratuitamente per spirito di carità, dalla proprietaria dell’albergo Dogali in via Bocca Barile, 2 e quando si aggravò la portarono in ospedale dove sarebbe morta il 20 settembre 1900.