Parla la Milano onesta: resistere e continuare a combattere
Dopo un quindicennio di potere incontrastato in Lombardia, Roberto Formigoni è arrivato al capolinea ma non cade: tratta da posizioni di forza la sua successione, i nuovi equilibri di potere della Regione, sceglie la data del voto e ha un peso determinante nella formazione delle alleanze nell’area politica del centrodestra.
Nell’ultimo anno la sua giunta ha perso un pezzo dopo l’altro sotto i colpi delle inchieste giudiziarie e lui stesso è indagato per i suoi rapporti con l’imprenditore e amico Daccò, ma nessuno osa dare la spallata finale.
Non l’opposizione che per quindici anni non ha fatto opposizione e che oggi – dopo lo scandalo dell’assessore alla Casa finito in manette per voto di scambio con la ‘ndrangheta – finge di fare la voce grossa chiedendone le dimissioni, ché tanto non costa nulla.
Non i suoi sodali del Pdl che nel sistema di potere formigoniano si sono trovati come i topi nel formaggio e ora – nonostante tutto – sono costretti ad andare sino in fondo anche a costo di andare a fondo; non la Lega che in tutti questi anni si è preoccupata solo di trattare sul prezzo e che ora che si vorrebbe smarcare, non può.
La posta in gioco è alta: la Lombardia è una delle regioni più ricche d’Europa e gli interessi nella Sanità, nelle infrastrutture e nel cosidetto privato-sociale valgono molti miliardi di euro. Formigoni in questo quindicennio ha governato con abilità, facendo in modo che tutti avessero la loro fetta di torta: appalti, poltrone, posti di sottogoverno, favori. Un gioco a includere e forse non è un caso se la sinistra in tutti questi anni non ha mai provato a proporsi come reale alternativa e non ha mai espresso veri candidati, capaci di contendere davvero la guida della Regione alla destra.
Ora il governatore è accerchiato e le inchieste hanno iniziato a toccare anche la Compagnia delle Opere, il braccio economico di quella che a Milano da decenni viene scherzosamente (ma non tanto) chiamata Comunione & Fatturazione, ma a sinistra come a destra si respira un’aria pesante, che sa di ricatto. Finita l’era Formigoni, la Lombardia potrà finalmente uscire dalla palude affaristico-criminale in cui è sprofondata?
Questa domanda l’abbiamo girata a Basilio Rizzo, decano e presidente del consiglio comunale di Milano, fiero oppositore di un certo modo di fare politica anche a sinistra, attento osservatore di ciò che si muove in profondità, sotto la superficie della politica lombarda.
“Anche se dovessimo vincere le elezioni, temo che in Regione succederà come a Milano: Formigoni non ci sarà più ma l’armatura del suo sistema di potere non sarà facile da smantellare. C’è paura di confrontarsi con questo sistema di potere e anziché provare a scardinarlo è stata fatta la sccelta, più facile, di venirci a patti.
L’esperienza di oggi mi fa dire che lo spoil system non è una cretinata: in Comune, all’urbanistica, abbiamo un assessore di grande capacità, ma l’assessorato è ancora per quattro quinti ciellino. E i dirigenti che erano veri e propri terminali della Compagnia delle Opere in Comune e sono andati via perché la cosa era talmente palese che non potevano restare, ce li siamo ritrovati pari pari nella società Expo, in posizioni altrettanto importanti.
L’Expo è stato a mio modo di vedere il momento nel quale si è dimostrato che ci si arrendeva al potere formigoniano ancora prima di provare a combatterlo: con la scusa che non potevamo fare a meno di loro altrimenti avremmo perso l’Expo, abbiamo finito con l’accettare tutto”.
Perché, riusciremo a farlo l’Expo?
“Su questo ci sono pochi dubbi, anche se certamente non ha più quasi nulla del progetto originario. Dalle serre dei popoli, dei produttori, si è ritarato tutto sul settore corporate, sulle aziende. D’altra parte lo sapevamo tutti che sarebbe andata a finire così, perché tutti capivano che quell’impostazione non avrebbe retto all’impatto dei conti. Ma malgrado il progetto sia stato snaturato, la mia impressione è che nel 2016 l’eredità dell’Expo sarà un bagno di sangue dal punto di vista economico.
Noi, unico caso al mondo, per l’Expo abbiamo comperato le aree dai privati e lo abbiamo fatto a un prezzo talmente elevato che per rientrare saremo costretti a fare quello che avevamo detto di non voler fare: un’operazione speculativa immobiliare. E andrà a finire così.
Insomma, in Regione è difficile immaginare una svolta.
Se chiudo gli occhi e penso a un candidato non è che ne vedo uno che sul campo è stato capace di fare chissà che cosa, ma adesso ci sarà la corsa a candidarsi perché per la prima volta in molti pensano che si possa vincere.
C’è già Tabacci pronto: ha la grinta per poterlo fare, ma non è che dia garanzie… è lui che ha guidato le operazioni sulle aziende comunali.
Nel caso della vendita di Sea, la società degli aeroporti, è stato anche scavalcato il consiglio comunale. Un modo di agire che non ci si sarebbe aspettati dall’amministrazione Pisapia.
Non solo è stato scavalcato il consiglio, è stato fatto di peggio. Non si può dire a dicembre (e farci votare) che il Comune mantiene la maggioranza e poi a distanza di cinque-sei mesi cambiare idea senza neanche consultarci, senza nemmeno dire “siamo disperati, abbiamo bisogno di soldi, non possiamo che fare così”. In realtà con la quotazione è stata scelta una strada che non farà entrare un euro nelle casse del Comune.
Ma anche la prima decisione, quella di vendere il 30% al fondo F2i di Gamberale, ha destato molti interrogativi…
Secondo me c’è un disegno preciso, un tentativo dei poteri reali – non quelli legittimati, ma quelli che passano dalle Fondazioni, cioè da camere oscure e non palesi. Il governo si serve di questi gruppi di potere per sottrarre risorse e controllo agli enti locali.
Da questo punto di vista l’operazione Sea è paradigmatica: tu per un verso decidi di privatizzare, ma in realtà cedi quote a un fondo come F2i che è “pubblico”, nel senso che è controllato dalla Cassa depositi e prestiti. In pratica sostituisci un potere pubblico visibile, nel quale il rapporto tra amministrato e amministratori è legittimato e trasparente, con un qualcosa di opaco, non controllabile.
Il disegno messo in atto dal governo precedente e adesso portato avanti da Monti è quello di sottrare risorse e poteri al controllo pubblico diretto, costituendo quelle che qualcuno già chiama “piccole Iri”.
Un pubblico che in realtà non è pubblico, perché è controllato da lobby di potere, dove le cose si decidono nel chiuso delle stanze, in assenza di controlli.
Il Fondo F2i è dappertutto, sta comprando tutto: il sistema dei trasporti, le infrastrutture. Se dopo Sea dovessimo vendere la Serravalle chi comprerebbe? F2i certamente. E Metroweb, azienda un tempo pubblica, a chi è andata con i suoi chilometri di fibra ottica? A F2i.
Quindi il vero disegno che io vedo e l’attacco alle Regioni cui stiamo assistendo in questi ultimi mesi consiste in un rafforzamento del potere centrale dello stato attraverso strumenti che sono al di fuori del controllo dei cittadini. Così vogliono fare con la grande Multiutility del Nord, azienda nella quale vogliono fondere molte delle ex municipalizzate dell’energia.
Usciremo mai dalla palude?
Bisogna resistere e continuare a lottare.