Palermo fra passato e futuro
La nuova amministrazione di Palermo guidata da Leoluca Orlando è ormai un fatto…
La difficilissima fase di governo della città che si è aperta ha inevitabilmente, se non sanato, accantonato, almeno sul livello cittadino, le polemiche che hanno segnato un’incredibile campagna elettorale dopo l’unanimemente riconosciuto disastro del decennio di Cammarata.
Orlando e la sua squadra sanno bene che sarà molto breve la tregua che la città è disposta a concedere prima di ricevere risposte sui variegati problemi, gravi e incancreniti, che “ruggiscono”intorno al Palazzo delle Aquile.
E’ necessario affrontare le tante emergenze a partire dall’approvazione di un bilancio disastrato che il Commissario straordinario ha dovuto predisporre facendolo quadrare, con una visione inevitabilmente ragionieristica che, però, fatto salvo il necessario rigore contabile, non può essere la risposta tecnico-politica per il rilancio della quinta città d’Italia.
Se l’amministrazione non vuole farsi travolgere da un retaggio nefasto deve andare in controtendenza rispetto al degrado socio-economico straordinario determinato dall’assoluta insipienza del decennio buio di Cammarata.
Come recitava un detto antico, deve macinare politica in grado di produrre idee forza di carattere strategico e linee di intervento tanto realistiche quanto in grado di fare intravedere effetti nel breve, medio e lungo termine. Una sorta di miracolo, considerato il pregresso e la drammaticità delle condizioni del Paese nel suo complesso? Indubbiamente si, ma un miracolo in senso laico che attiene ad un’idea di politica che mentre appronta strumenti concreti d’intervento è in grado di offrire una visione di una città come Palermo, maledettamente importante, e della sua comunità, forse per troppo tempo caduta in una sorta di forma generalizzata di narcosi sociale collettiva.
E’ impossibile omettere che questa amministrazione, perfino al di là della straripante personalità politica del suo sindaco, ha una storia ineludibile che affonda le sue ragioni in una stagione che non è retorico definire epica per quello che ha rappresentato sul piano socio-politico tra gli anni ’80 e ’90. Una stagione, non a caso passata nell’immaginario collettivo come “la Primavera di Palermo”in cui indubbiamente una città in larga parte rispose ad una situazione assolutamente drammatica e insieme si fece interprete e si fece interpretare da una proposta politica che era di rottura di vecchi schemi politico-affaristici mafiosi, ma anche di costruzione di una prospettiva realizzabile.
Tale prospettiva ancorava la concretezza delle soluzioni ad un’utopia possibile costituita da una visione che incredibilmente scommetteva sul fatto che Palermo, proprio quando sembrava definitivamente in ginocchio e in balia totale dei suoi drammi storici e dello strapotere incontrollato e incontrollabile della mafia, poteva, non solo rialzarsi, ma divenire insieme un simbolo e un esempio di rinascita, anche in una dimensioni internazionale.
Fu il tempo della Palermo e dei suoi protagonisti sulle copertine dei più importanti magazine, internazionali e la stagione in cui artisti di assoluto livello mondiale scelsero di lavorare a Palermo considerandola una delle città più interessanti dove sperimentare futuro. Furono usati termini altisonanti come Rinascimento, ma al di là delle semplificazioni giornalistiche, indubbiamente in quella stagione Palermo guardò al mondo e il mondo guardò Palermo.
Oggi si discute spesso se la Primavera sia ormai poco più di un ricordo o se ha lasciato un’eredità ancora spendibile.
Forse è più importante riconoscere, al di là delle visioni agiografiche di quella stagione, la caratteristica carsica che, forse più che altrove, hanno i movimenti sociali e culturali di questa città che ad un certo punto della loro parabola sembrano ingrottarsi, come i suoi fiumi alluvionali tra i Kanat arabi del suo intricato sottosuolo, per poi imprevedibilmente riapparire quando i palermitani stessi meno se l’aspettano.
Come tutto a Palermo anche questa caratteristica sociale è esagerata ed è insieme limite da non sottovalutare , ma anche speranza da non perdere.
Al di là delle insidie del tempo e degli inevitabili cambiamenti che s’impongono su tutto e tutti, le potenzialità di ripartire sempre da una primavera danno la dimensione della capacità di reazione di un popolo, che viene da lontano, ma anche il rischio di non sapere cogliere l’originalità di ogni tempo attrezzando una proposta sociale e politica che sia o del tutto smemorata rispetto a quanto già accaduto, oppure appiattita su una sorta di grandeur politico – culturale che, fin da tempi lontani, più che stimolare all’azione innovativa le migliori energie, ha coltivato la conservazione di ceti ottusamente dominanti.