Palagonia, la primavera ferita
Un anno dopo le elezioni, tra debiti e vandali
Si aspettavano le casse vuote, ma hanno trascorso i primi 12 mesi di nuova amministrazione tra i conti pignorati e i continui atti di vandalismo verso scuole, strutture comunali e persino la stessa auto del presidente del consiglio Salvo Grasso. E’ il bilancio del primo anno del sindaco Valerio Marletta e della sua giovane giunta. I palagonesi, intanto, restano in attesa: «Per come ha trovato il Comune, è passato ancora troppo poco tempo per giudicare»
Un anno fa gridavano alla liberazione. Oggi è ancora di attesa l’aria che si respira a Palagonia, dove i cittadini conservano un ricordo di quella che doveva essere la primavera palagonese in parte sbiadito dai tanti problemi di questi mesi. Dopo anni di governo gestito da una sola famiglia – i Fagone, nonno, padre e figlio – e macchiati da indagini e processi antimafia, l’elezione di un sindaco, una giunta e un consiglio per lo più giovani e provenienti da Rifondazione comunista erano stati il riscatto di una comunità. A dirlo, lo scorso maggio, un ballottaggio lampo, durato meno di un’ora, con il quale Valerio Marletta si è imposto sullo sfidante Francesco Di Stefano con oltre il 70 per cento delle preferenze dei palagonesi. Eppure a quell’entusiasmo sembra essersi sostituita la stanchezza del primo cittadino Marletta e del presidente del consiglio comunale Salvo Grasso, così come la rassegnazione dei cittadini. Che da mesi assistono a continui atti vandalici contro le scuole e altre strutture del Comune.
«Non può essere un caso», commentava il sindaco a proposito del raid vandalico di novembre contro le scuole materne di via Amedeo e via Archi. Arredi distrutti, libri e quaderni strappati, i nuovi pannelli fotovoltaici scomparsi. Un danno di circa cinquemila euro, secondo l’amministrazione. «Una risposta da parte di qualcuno ce l’aspettavamo, ma è anche impossibile che nessuno dei cittadini abbia visto niente – continua Marletta – Eppure nessuno ha parlato. Noi l’avevamo detto chiaramente: non era cambiando l’amministrazione che si creava il bene comune, ma preservandolo». E che non si tratti di comuni atti di vandalismo è dimostrato anche dall’ultimo caso quando, pochi giorni prima del 25 aprile, l’impianto elettrico della basilica di San Giovanni, dove l’amministrazione aveva deciso di festeggiare la ricorrenza della Liberazione, è stato danneggiato e il contatore rubato.
Il motivo di questi attacchi, secondo i nuovi amministratori, sarebbe il nuovo corso della gestione della cosa pubblica inaugurato a Palagonia. Servizi sociali controllati «mentre prima erano gestiti in modo clientelare», appalti pubblici ad importi più contenuti, convenzioni a titolo gratuito come per il fotovoltaico o il wifi libero. «Quando dici dei no e torni a regolarizzare tutto, a qualcuno dà fastidio», spiega Salvo Grasso. Che ha dicembre ha ritrovato la sua auto bruciata. Un evento di certo doloso, ma sul quale i carabinieri stanno ancora indagando. «Colpendo me hanno voluto avvertire l’amministrazione», commenta Grasso, senza lasciarsi tropo trasportare dall’emozione. «Abbiamo visto Salvo tranquillo e anche la sua famiglia, quindi l’intimidazione non ci ha sconvolto più di tanto», aggiunge il sindaco.
Anche perché di cose a cui pensare, a Palagonia, in questi mesi ce ne sono state tante. Il macigno più pesante per la nuova amministrazione è stato di certo il contenzioso con la SicilSaldo. Azienda – tra le protagoniste del processo Iblis sulle presunte collusioni tra politica, mafia e imprenditoria nel Catanese – che aveva svolto alcuni appalti nel Comune.
Correva l’anno 1999 e, da allora, nessuno aveva mai pagato alla ditta gli adeguamenti di fine lavori. Una cifra che, nel tempo, è lievitata fino a raggiungere un credito di due milionie 400mila euro. L’azienda in un primo momento ottiene il pignoramento delle anticipazioni di cassa del Comune. «Si tratta del prestito che ti concede la banca per pagare la spesa corrente: dagli stipendi dei dipendenti alla manutenzione spicciola – spiega Grasso – Il necessario per andare avanti quotidianamente». I netturbini non raccolgono più i rifiuti. I dipendenti comunali non ricevono gli stipendi. «Da due mesi siamo costretti a mettere anche di tasca», spiega il sindaco. Fino alla decisione del giudice, arrivata lo scorso 27 marzo, di sbloccare le casse comunali. Comunque vuote.
E il passato ritorna ancora una volta a Palagonia a fine aprile, quando al Comune vengono chiesti altri 400mila euro per un debito che risale al 2003: il mancato pagamento del conferimento in discarica dei rifiuti. «I debiti che hanno lasciato gli altri, se li è caricati lui», sospira un anziano cittadino. «Per quello che c’era al Comune, che era disastroso, è passato ancora troppo poco tempo», aggiunge un ragazzo. «Cambiamenti ce ne sono stati pochi, però il signor sindaco ha la buona volontà di rimettere in sesto questo paese che va a rotoli da dieci anni», gli fa eco un altro. Non tutti sono d’accordo. «L’ho votato perché mi sembrava una persona perbene, ma sicuramente ha da mangiare qualcosa anche lui – commenta un giovane – Qua lavoro non ce n’è, non c’è niente, Palagonia fa schifo». Una voce non del tutto isolata, ma che sembra comunque minoritaria nel clima di attesa generale. I più disillusi sono gli anziani palagonesi, che tante ne hanno vissute in questi anni. «Se fosse stato per me – sentenzia un cittadino, interrompendo la sua partita a carte – Io avrei dato le dimissioni».
SCHEDA
Sicilsaldo: ieri pagava la mafia, oggi pignora il Comune
Il passato del Comune di Palagonia è spesso al centro delle udienze del processo Iblis, che si svolgono nel carcere di Bicocca di Catania. A marzo, mentre la nuova amministrazione stringeva la cinghia al limite, a testimoniare in aula è stato Angelo Brunetti, titolare della Sicilsaldo, la stessa ditta che in un primo momento aveva ottenuto il pignoramento delle casse pubbliche palagonesi. Una delle tante aziende vittime di estorsione non solo da parte di Cosa nostra, secondo i magistrati, ma anche dell’area grigia tra mafia e politica.
Un caso di imprenditoria connivente, invece, secondo i legali della difesa di alcuni imputati. E quello che viene tratteggiato in aula è in effetti uno scenario contorto. Rappresentante della ditta appaltatrice dal 1999 di diversi lavori a Palagonia – dalla via di fuga «da un paio di milioni di euro» al metanodotto -, Brunetti racconta che «fin dal primo lavoro, il sindaco Salvino Fagone mi aveva detto che dovevo rivolgermi a ditte e personale del luogo, anche se noi avevamo tutte le attrezzature». Società di personaggi oggi imputati o condannati in primo grado per associazione mafiosa o ancora sospettati di concorso esterno a Cosa nostra.
Dal subappalto alla richiesta della cosiddetta messa a posto il passo è stato breve: in due tranches da 50 e 60mila euro. Richieste che però non sarebbero bastate a Brunetti per prendere le distanze dai suoi presunti estorsioni, ipotizzano gli avvocati della difesa. C’è chi mostra una foto del testimone a una cerimonia di famiglia a casa di un imputato. E chi ricorda invece come la moglie di Brunetti, proprietaria di una cantina vinicola, abbia fatto affari vendendo il proprio vino nel bar del distributore di benzina del presunto boss di Ramacca Rosario Di Dio.
Di certo c’è solo che, 14 anni dopo e ormai trascorsi diversi governi di Fagone padre e figlio, la Sicilsaldo avanza e richiede un credito dal Comune di Palagonia per due milioni e 400mila euro.